Rai e Mediaset sono in mano alla politica. Lo sanno tutti, lo dicono tutti. Lo dicono i comici negli spettacoli, i presentatori e i politici (alcuni) nei talk show; lo dicono le donne in attesa dal parrucchiere, lo dicono i giovani nei bar delle università. Questo finisce inevitabilmente per ritorcersi contro alcune libertà (nei confronti di informazione e satira, ad esempio), che vengono spesso negate per non incappare in dispute con questa o quella parte politica.
Decisamente meno si parla, invece, di La7. Per motivi di share, anni luce lontano da quello dei due oligopolisti, e perché, probabilmente, nessun partito politico ha particolari interessi in quell’emittente. Non che La7 non sia di proprietà di un potere forte, anzi fortissimo, nell’economia italiana (Telecom Italia, ndr) ma, evidentemente, questo potere possiede interessi differenti, svincolati da quelli puramente politici, anzi partitici. Questo fa in modo che tra gli studi e i corridoi degli uffici di La7 si respiri un’aria diversa, più pulita, più libera.
Quest’emittente, nata nel 1974 come Telemontecarlo (relay italiano), giunse negli anni ’80 nelle mani dei brasiliani di Rede Globo, che cedettero nel 1993 quote rilevanti alla Ferruzzi Finanziaria di Raul Gardini. Il controllo della rete (o meglio delle reti, visto che a TMC si era aggiunta TMC2 ex Videomusic) era poi passato alla famiglia Cecchi Gori e quindi, nel 2001, a Telecom (perché acquisita da Seat Pagine Gialle, del gruppo Telecom Italia). La rete principale, tuttavia, non ha mai fatto, c’è da dire, il salto di qualità che molti s’attendevano in termini d’ascolti. In termini di qualità del palinsesto sì, di passi ne ha fatti da gigante. Basti pensare che, a fronte di un bilancio che guarda con il cannocchiale (uno professionale…) quelli di Rai e Mediaset, la produzione di La7 è molto attiva e sforna programmi che nulla hanno da invidiare a quelli delle sorelle maggiori. Anzi. Per non parlare, poi, dei personaggi sotto contratto, tanto nel mondo dell’informazione (Giuliano Ferrara, Ritanna Armeni, Gad Lerner, Rula Jebreal e Darwin Pastorin, sono personaggi di primissimo piano), quanto in quello dell’intrattenimento (Ilaria D’Amico, “prestata” da Sky, e poi cavalli di razza come Crozza, Luttazzi e Chiambretti). Evidentemente la mission autoimposta dall’editore è differente rispetto a quelle che dominano le tv generaliste maggiori. E anche l’amministratore delegato, Antonio Campo Dell’Orto (che, data l’età, potrebbe essere il figlio dei colleghi delle altre televisioni), giovane e più vicino ai gusti di un pubblico nuovo, sembra avere nel proprio dna un tipo di televisione diversa, più europea e più giovane.
Certo, gli ascolti continuano a penalizzare La7, forse perché le fasce di pubblico più giovane, stanche e snervate dai palinsesti dei due giganti dell’etere, preferiscono abbandonare la televisione al suo destino d’un rapido invecchiamento, piuttosto che investire il proprio tempo nella ricerca di canali più consoni alle proprie esigenze e ai propri gusti (anche se basterebbe un clic sul numero 7 del telecomando). La7 e Capo Dell’Orto continuano, comunque, sulla propria strada, con i propri programmi e con le proprie regole professionali.
Non è un caso, però, che l’opinione pubblica parli in maniera sempre più entusiastica e sempre più frequente dei programmi di La7. A fronte di dati d’ascolto che, però, non vanno di pari passo. Non è un caso che i politici facciano a gara per presenziare a “Crozza Italia” o a “Otto e mezzo”, perché nonostante gli ascolti non premino le loro scelte, l’opinione pubblica garantisce un eco che cresce di giorno in giorno. La7 è libera, è questo l’elisir. E allora via libera a Crozza (3,22% la domenica sera in prima serata), lasciandogli dire quello che vuole: lì i politici invitati ridono piuttosto che irritarsi, magari anche perché il costume, a “Crozza Italia”, è quello. Diverso, ad esempio, da quello di Vespa o Mentana, dove pare che se non ci si arrabbia il messaggio non arrivi al pubblico nel modo adeguato. Via libera anche a Luttazzi (3,5% di share e mezzanotte del sabato), che dopo quattro anni di esilio forzato è tornato. E non perché spasimasse per tornare sul piccolo schermo, ma perché lo hanno lasciato libero di dire ciò vuole, ciò che è consono al suo modo di fare comicità. Via libera, infine, a un certo di modo di fare informazione: da Ferrara a Lerner, fino a Luca Telese. Nei loro programmi, se ci si fa particolarmente caso, le opinioni politiche, spesso personali, dettate da un credo ideologico forte o dall’appartenenza a questa o quella parrocchia, possono essere non condivisibili, detestabili, gradite ad alcuni e sgradite ad altri. Ma sono sempre, o quasi, svincolate dai diktat dell’editore o della fazione politica in affari con quell’editore e per questo libere di essere espresse. (Giuseppe Colucci per NL)