L’amico Paolo Lunghi mi ha cortesemente fatto pervenire una copia del suo ultimo libro sulla radiofonia privata italiana: Transistor, nel quale ho l’onore di essere presente, avendomi l’autore dedicato una scheda.
512 pagine dense di ricordi di un numero infinito di operatori, editori, giornalisti, personaggi dello spettacolo e della musica (non necessariamente radiofonici) che mi sono letto in poco più di un week-end, a sottolineare l’interesse ma anche la fluidità del testo di Lunghi.
Il giornalista è riuscito nel difficile obiettivo di coniugare il suo lontano passato di radiofonico (raccontando con dovizia di particolari i suoi esordi con Radio Empoli International) con l’oggettiva analisi sociologica del medium radiofonico privato italiano senza farsi trascinare nel pericoloso vortice della nostalgia.
Leggendo le innumerevoli schede dei protagonisti della radiofonia italiana della prima ora (ma non solo) contenute in Transistor (termine bivalente che si riferisce sia al dispositivo a semiconduttore largamente usato sia nell’elettronica analogica sia in quella digitale, che l’appellativo dato negli anni ’70 ai ricevitori radio portatili), si scopre – ma lo sapevamo già, in realtà – che gli inizi sono quasi sempre gli stessi per tutti: il gruppo di amici che cavalcano il fenomeno introdotto dalle varie Radio Parma, Radio Milano International e Radio Roma, issando antenne instabili sui tetti di case e garage, incollandone le pareti con decine di contenitori delle uova (con finalità di insonorizzazione), improvvisandosi speaker ed inventandosi tutto, posto che di esempi accessibili negli anni ’70, fuori dall’ingessato modello RAI e da quello affascinante ma irraggiungibile di Radio Luxembourg, non ve ne erano.
Di pagina in testimonianza, di aneddoto in foto, si comprende che quel che tutti noi pensavamo essere stata un’esperienza singolare in realtà era stato un percorso quasi sempre simile lungo lo Stivale, grande o piccola che fosse la città della specifica genesi radiofonica.
Dall’euforia del trasmettitore, che con pochi Watt garantiva l’ineducato ingresso senza permesso nelle case altrui, alle altalenanti fasi organizzative di imprese tali non nel senso giuridico del termine ma in quello della fatica gestionale, per finire, purtroppo altrettanto di sovente, nel duro confronto con una realtà fatta di crescenti difficoltà nel recuperare fonti di finanziamento, l’iter era il medesimo.
Come oggi col web, l’altra faccia della democrazia dell’etere era stata l’esplosione incontenibile della concorrenza, che aveva aperto le porte all’anarchia.
Transistor, grazie alla variegata carrellata di opinionisti, commentatori, intervistati ed ospitati (la prefazione è di Mauro Roffi, storica firma prima di Millecanali e poi di Newslinet) offre anche un panorama interessante degli attuali operatori: da chi rimpiange il passato ma prende atto dei cambiamenti sociotecnologici a chi ostinatamente li rifiuta, rimanendo convinto che la radio di oggi sia un qualcosa di diverso, pur mantenendo il medesimo nome (o forse appropriandosene arbitrariamente), passando per coloro che invece criticano (spesso non a torto) l’impiego che ne viene fatto.
Un bel libro da leggere per capire che, alla fine, noi attuali o ex radiofonici, pur con evoluzioni personali differenti, siamo tutti fatti della stessa pasta. (M.L. per NL)