“In un paese come il nostro si è soliti pensare che non vi sia alcun controllo, che ognuno possa scrivere ciò che vuole, senza rischiare severe sanzioni, come nelle democrazie più serie, né la vita o il carcere, come nei paesi a democrazia sospesa. Eppure anche qui da noi la vita può essere dura per coloro che non hanno un padrone e rispondono solo al lettore”.
Si presenta così il testo edito da Il Mulino, scritto a sei mani dagli avvocati Caterina Malavenda e Carlo Melzi d’Eril, insieme a Giulio Enea Vigevani, professore di Diritto costituzionale e dell’informazione presso l’Università di Milano-Bicocca. Basata unicamente su notizie «ufficiali», provenienti dalle fonti istituzionali o dai diretti interessati, l’informazione potrebbe sembrare indenne da ogni rischio. Per fare davvero il proprio mestiere, invece, il giornalista deve trasformarsi in un bravo segugio, andando a caccia di notizie, districandosi fra regole e limiti tesi a bilanciare il diritto d’informazione con altri diritti e interessi quali la reputazione, la privacy, il buon costume. Innumerevoli casi di cronaca ci ripropongono continuamente la tensione tra ciò che può e non può essere detto o scritto, tra ciò che è corretta informazione e ciò che è insinuazione o diffamazione, tra ciò che è giornalismo e ciò che è puro gossip. Le norme in materia sono complesse e di difficile interpretazione: di fatto è sempre più difficile far bene il giornalista senza finire sotto processo. Nato quasi per donare una guida preziosa a tutti i professionisti del fare informazione, il testo pubblicato da Mulino editore (www.mulino.it), è in vendita in libreria al prezzo di euro 15,00. (L.M. per NL)