In La scia dell’Uroboro, Leonardo Nanna (1989) riporta sulla scena l’ispettore Olivetti, personaggio già noto ai suoi lettori grazie al precedente e pregevole Tre interrogatori.
E lo fa con un romanzo che affonda le radici nel mistero più profondo: la sparizione di Laura Foscolo, studentessa di architettura dalla vita solo in apparenza ordinaria.
Tra Pisa e Firenze
La narrazione si apre su una Pisa (città natale di Nanna) che odora di nebbia e malinconia, per poi spostarsi tra i quartieri ombrosi di una Firenze autunnale, in un’indagine che travalica ben presto i confini della logica.
Thriller psicologico-esistenziale
Al centro del giallo – ma potremmo parlare anche di un thriller psicologico e persino esistenziale che trascende (apparentemente) la razionalità – vi è il simbolo dell’uroboro, il serpente che si morde la coda: antica figura dell’eterno ritorno e della ciclicità, qui assunta a chiave narrativa per esplorare la sottile linea tra ciò che è noto e quanto sfugge alla comprensione (quantomeno quella immediata).
New age
La scomparsa di Laura, documentata da un video criptico e segnata dal ritrovamento del misterioso cartoncino col simbolo dell’uroboro, è il primo anello di una catena narrativa che si snoda con ritmo crescente, tra palestre, ambienti new age, pseudoscienza e spiritualità deviata. Ed è proprio nel confronto tra la razionalità investigativa e le suggestioni dell’occulto che si gioca il senso profondo del romanzo.
Lo stile: precisione ingegneristica e ritmo narrativo moderno
È evidente, in ogni pagina, la formazione dell’autore: Leonardo Nanna, ingegnere nelle telecomunicazioni applicato all’informatica, mostra un’attenzione minuziosa al dettaglio, sia nelle descrizioni ambientali che nella costruzione delle indagini. Ogni elemento è calcolato; ogni indizio pesa; ogni scena è calibrata come un circuito.
Prosa asciutta e moderna
La prosa, asciutta e moderna, si distingue per l’uso deciso del punto come spartiacque netto. Una scelta stilistica che spinge la narrazione in avanti, senza indulgenze, rendendola particolarmente adatta ai lettori contemporanei, affezionati al “dunque” più che al “forse”.
Nessuna rinuncia alla profondità
Ma ciò non significa rinunciare alla profondità: le pause secche, i tagli netti e i silenzi tra le frasi lasciano spazio alla riflessione, in una forma che sa sedurre anche chi è abituato alla lettura più lenta e meditativa.
Il ritorno dell’ispettore Olivetti
Con il ritorno di Olivetti, a tre anni di distanza da Tre interrogatori, Nanna affina il tratto. Il personaggio si fa più vivido, più sensibile, e anche più vulnerabile: non è il classico investigatore invincibile, ma un uomo colto, inquieto, che nella ricerca della verità rischia di perdersi (e a tratti pare anche farlo, seppure l’autore non manca di salvarlo).
Filo d’Arianna
È lui il filo d’Arianna che il lettore segue nel labirinto della trama, sempre più sottile, sempre più incerto. E non è detto che alla fine riesca davvero a uscire dal buio.
Nanna lascia il segno
La scia dell’Uroboro è un romanzo che lascia il segno. Non solo per la solidità della trama o la qualità della scrittura, ma per la capacità di Leonardo Nanna di creare un’atmosfera sospesa, al confine tra il reale e l’invisibile. Un libro che non offre risposte facili, ma invita a interrogarsi sul senso delle cose, sulla verità e su quell’oscura forma di attrazione che ci lega, come un uroboro, ai nostri stessi misteri.
Non solo brivido
Una lettura consigliata a chi cerca nel noir non solo il brivido, ma anche l’eco di domande più profonde. Disponibile in libreria ed online, edito da Giovane Holden Edizioni. (M.L. per NL)