Missione compiuta: “Avete dimostrato che nessun ostacolo è insormontabile. Avete dimostrato fiducia in voi stessi e negli altri. Abbiamo realizzato un sogno. We did it!, ce l’abbiamo fatta”. Queste sono state le prime parole di elogio che Sergio Marchionne ha rivolto ai dipendenti Chrysler.
L’infallibile, è riuscito nell’impresa disperata di salvare la Fiat. Nel lontano 1 giugno 2004, il manager si era assunto l’incarico di amministratore delegato della Fabbrica italiana automobili Torino (diventando in pochi mesi capo del personale, capo della finanza, responsabile di Fiat Auto, di Fiat Industrial e di tutte le maggiori controllate), prefiggendosi tre principali obiettivi: non vendere, non nazionalizzare e non far fallire la casa automobilistica emblema della storia industriale del nostro paese. In cambio, niente soldi, niente interferenze e niente critiche dalla famiglia Agnelli. Si ma a quale prezzo – è stata la domanda più ricorrente -? La storica industria italiana è destinata a diventare parte di una multinazionale che sarà quotata a New York, che avrà sede ad Amsterdam e che pagherà le tasse a Londra. Una fuga dall’Italia dopo anni in cui lo Stato (o meglio i contribuenti) ha foraggiato l’azienda per miliardi di euro via rottamazioni, sussidi indiscriminati, fondi pubblici alla ricerca e allo sviluppo, cassa integrazione. Un polmone artificiale che ha dato ossigeno a un’industria in fin di vita, con la famiglia Agnelli che non ha messo un euro ma ha continuato a incassarne. Marco Cobianchi, giornalista del settimanale Panorama, che da anni si occupa di economia, alza il sipario e svela l’andamento del decennio dell’era Marchionne. Oggi certamente la Fiat non è messa molto meglio di quando Marchionne è arrivato: il suo miracolo, secondo lo scrittore, non è stato quello di guarire la società, ma semmai di tenerla in vita. E Cobianchi, per avvalorare la sua tesi, mette in fila i fatti: le promesse e le bugie, il carosello dei piani industriali (ben otto in nove anni, e mai realizzati), i bilanci e un debito considerato “spazzatura” dalle agenzie di rating, la trasformazione della Fiat in una finanziaria, i flop internazionali (Cina, Russia, India). Certo gli obiettivi di dieci anni fa sono stati raggiunti, ma se è vero che la casa automobilistica non è stata venduta, è altrettanto vero che la Chrysler non è stata comprata, perché i soldi per costruire “un insieme” li ha messi la Casa Bianca. I numeri non lasciano scampo: oggi Fiat perde 911 milioni di euro, mentre Chrysler guadagna un miliardo e 854 milioni e i 73.688 dipendenti americani lavorano per pagare lo stipendio ai 62.108 colleghi italiani. Marchionne, come afferma l’autore, “è l’alfa e l’omega della società, dunque per conoscere la vera Fiat, occorre conoscere il vero Marchionne, la cui caratteristica principale è quella di intendere la competizione come un modus vivendi e non come una strategia”. È tutto contenuto nelle pagine del libro, che racconta una storia inedita, avvalorata dall’analisi tecnica dei bilanci, da continui colloqui con manager della società, sindacalisti, analisti, fornitori e clienti del gruppo torinese, che permettono di delineare un complessivo quadro di insieme. Il testo, edito da Chiare Lettere (www.chiarelettere.it), è in vendita al costo di € 13,00. (V.R. per NL)