Ha valore di esimente la personale interpretazione dei fatti nella cronaca giornalistica. La V sezione penale della Corte di Cassazione ha avuto modo, nella sentenza 40408/2009, di affermare che il cronista può fornire una libera lettura delle vicende che si trova ad esporre.
E, a patto che la sua presentazione non sia offensiva o diffamatoria, può anche giungere ad ardite conclusioni. I giudici di legittimità ritengono inverosimile pensare che gli organi di stampa possano riportare con freddezza ed imparzialità le notizie: "la critica costituisce attività speculativa che non può pretendersi asettica e fedele riproposizione degli accadimenti reali ma, per sua stessa natura consiste nella rappresentazione critica di questi ultimi e, dunque, in una elaborazione che conduce ad un giudizio che, in quanto tale, non può essere rigorosamente obiettivo e imparziale, siccome espressione del retroterra culturale e politico di chi lo formula" (cfr. Cassazione, V sez penale, sent. n. 40408/2009, in www.studiocataldi.it). Ulteriormente, gli Ermellini riconoscono ai mass media un ruolo di sorveglianza strumentale all’informazione dei cittadini in merito all’effettivo perseguimento degli interessi pubblici nell’attività esercitata dagli organi statali. Così sentenziando, la Suprema Corte ha avuto modo di non ritenere integrato il reato di diffamazione in capo ad un cronista de "Il Giornale di Sicilia", il quale aveva sostenuto – sulla base di un personale convincimento – che i dirigenti dell’Istituto autonomo della case popolari della provincia di Catania avevano raccomandato ai propri addetti di tenere un atteggiamento particolarmente ostile nei confronti di certi ispettori inviati dal Ministero del Tesoro presso l’Ente. Il fatto risale al 2001 e, dopo quasi otto anni tra giudizio di primo grado, relativo gravame e sindacato di legittimità, è stata connotata di un ulteriore requisito potenziale l’attività giornalistica. Invero, senza bisogno di scomodare la Corte di Cassazione, si era in precedenza già dato conto di un simile orientamento anche nell’ambito della giurisprudenza di merito, allorquando (nel 2008) la Terza sezione penale del Tribunale di Milano di Milano aveva assolto i giornalisti Raffaele Jannuzzi e Maurizio Belpietro dal reato di diffamazione a mezzo stampa per un articolo apparso nel 2004 sul quotidiano "Il Giornale". Nel pezzo si criticavano aspramente i magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte per la loro attività di gestione del fenomeno del pentitismo mafioso nella Palermo degli anni Novanta. Qui la motivazione si spinge fino al punto di esercitare essa stessa una critica dei fatti costitutivi relativi alla pretesa integrazione del reato di cui all’art. 595 c.p. Pur precisando che ad oggi non si conoscono i seguiti giudiziari (e se ci sono stati) della pronuncia di primo grado, la vicenda è ultimamente rimbalzata alla ribalta della cronaca per effetto di presunte rivelazioni e supposti "papelli" (la questione sarà sicuramente ben nota al lettore e non si ritiene in questa sede opportuno approfondire ulteriormente). Le due motivazioni, benché differenti nella sostanza – l’una assolutrice di reati ascritti, l’altra che sviluppa ulteriormente il concetto di libertà di stampa – sembrano assomigliarsi nei contenuti interpretativi: dire a Milano che il giornalista ha diritto di ricostruire polemicamente i fatti ed affermare in Piazza Cavour che la libera interpretazione dei fatti nell’attività giornalistica è esimente del reato di diffamazione (purché non debordi in una forma gratuita di offesa o denigrazione), sembrano argomentazioni sussumibili nell’ambito del medesimo genus. Diritto di cronaca e diritto di critica, sono argomenti sui quali il dibattito è sempre molto vivace. In molte occasioni, in televisione e sui giornali, si disserta sulla funzione dei mezzi d’informazione anche se non sempre si riescono a confezionare contenuti realmente ispirati ai principi che dovrebbero modellare la libertà di stampa. Informare è un diritto per chi lo esercita, funzione indefettibile in una democrazia e legittima pretesa dei cittadini di aggiornati sui più importanti fatti della vita. La libertà di stampa e di informazione, proprio per effetto di questa premessa, è legata a doppio filo alla libertà di pensiero, suggellate entrambe nell’art. 21, 1° e 2° comma, della nostra Costituzione. In quanto principi, però, devono essere bilanciati con altri di pari livello e tocca al legislatore ed ai giudici trovare un punto di equilibrio tale da conciliarli anche quando si presentano in potenziale conflitto, evitando che l’uno possa sacrificare l’altro. Sullo stesso piano, in un eventuale contemperamento tra interessi contrapposti, il dovere che grava su ognuno di noi (giornalisti e non) è quello di rispettare – nell’esercizio delle nostre libertà costituzionali – la dignità, l’onore e l’integrità morale di tutti gli individui. Concludendo, rimane nostro convincimento che l’informazione disomogenea, orientata troppo spesso al gossip, alla estenuante ricerca dello scoop e finalizzata al solo audience, stimoli clandestinamente un deprecabile senso dietrologico nel lettore o nel telespettatore. Così operando, si contribuisce alla creazione di un clima di incertezza intorno alla notizia, infondendo per di più nell’utente una misera illusione della conoscenza, abdicante verso ogni proposito di discernimento critico. Ci rammarichiamo se questo abbia ad essere il vero intento di molti artefici dell’informazione nel nostro paese. (Stefano Cionini per NL)