Franco Abruzzo: “Per anni l’Ordine di Milano ha denunciato i rischi connessi alla commistione pubblicità-informazione. La crisi delle vendite è legata anche a tale triste fenomeno. Il nostro allarme sulle marchette non è stato preso in considerazione, come capita quasi sempre ai profeti. La pubblicità perde presa,quando i lettori avvertono che il loro giornale non ha a cuore un’informazione libera, critica, pluralista e, sempre e ovunque, indipendente, presentando e spacciando i pubbliredazionali per notizie e commenti”.
Dal “Corriere della Sera” del 31 dicembre 2008
Come azionisti del patto di sindacato, che controlla il 63,5 per cento di Rcs MediaGroup, avete deliberato in Consiglio di amministrazione, il 16 dicembre, di dismettere il piano industriale triennale che avevate approvato nel 2007 e di rinviarne alla seconda metà del 2009 la revisione o «rimodulazione». Lo avete deciso nella convinzione che il piano sia ormai superato, a causa della grave crisi economica internazionale, e nella speranza che il quadro del mercato sia più stabile e rassicurante nel medio periodo.
Tuttavia, la crisi dell’Azienda non è dovuta soltanto all’erompere, negli ultimi mesi, di una congiuntura sfavorevole e di una recessione sferzante, che hanno fatto cadere verticalmente la raccolta pubblicitaria. L’azzardo di acquisizioni rivelatesi per il momento disastrose, come quelle effettuate in Spagna proprio alla vigilia del crollo del mercato dei quotidiani (meno 42 per cento in nove mesi), ha già portato l’indebitamento del gruppo a sfiorare il valore dell’intero patrimonio.
La Rcs sconta ogni giorno l’inadeguatezza di un azionariato che non ha saputo disegnare una prospettiva affidabile per il futuro e che non ha avuto il coraggio di guardare avanti pianificando un «new deal» editoriale basato su investimenti, anche e soprattutto quelli tecnologici, adeguati ai tempi nuovi. Adesso annunciate l’intenzione di «puntare su un notevole sviluppo della multimedialità», ma l’Azienda ha latitato per anni e accumulato gravi ritardi. Forse anche voi, come gli altri editori, attendete che un annunciato, miope contratto nazionale di lavoro azzeri ogni possibilità di trattativa e di programmazione condivisa. Mentre, al contrario, è evidente che nessuna forma di multimedialità potrà essere introdotta nella nostra testata senza passare attraverso il confronto e l’accordo con la Redazione.
Avete deciso di sostenere il management in «una forte azione di contenimento ad ogni livello dei costi e di recupero di efficienza». Ci saremmo aspettati una rigorosa e saggia strategia diretta a tagliare gli sprechi di gestione e di amministrazione così come gli sperperi della produzione e della diffusione mirata ad alzare il numero dei lettori, a migliorare il livello di prodotti collaterali scelti e imposti dal marketing in una crescente disaffezione del pubblico, a bloccare i giri di valzer di dirigenti che entrano ed escono giusto in tempo per raccogliere superliquidazioni d’oro.
Invece di salvaguardare l’autorevolezza del Corriere, minata tra l’altro dal preoccupante asservimento del giornale al marketing e ad una pubblicità sempre più invasiva degli spazi, della titolazione, degli articoli; invece di rilanciare i ricavi editoriali, erosi dal calo delle copie vendute, il piano di risparmi prospettato da Azienda e Direzione rischia proprio di penalizzare la qualità e la completezza del servizio ai lettori riducendo gli spazi dell’informazione.
I redattori del Corriere della Sera, riuniti in assemblea, hanno comunque confermato la disponibilità a fare la propria parte con un surplus di impegno e con senso di responsabilità, per il bene del giornale, accettando temporaneamente gli interventi che incidono più direttamente sulla loro attività.
In quanto azionisti, avete anche auspicato «un contesto di maggiore sensibilità istituzionale per il settore dell’editoria». Una formula elegante per sollecitare più ampie provvidenze a carico della collettività e nuovi aiuti pubblici, da aggiungere ai fondi dei quali già beneficiate. È vero, fra voi azionisti di Rcs non c’è nessun editore puro, che abbia nei giornali e nei media il proprio «core business». Siete banchieri, imprenditori, finanzieri e capitani d’azienda che hanno altrove i propri principali interessi.
Non ci meraviglia, perciò, che bussiate al governo e ai partiti per farvi aprire le casse dello Stato, ma ci preoccupa e ci inquieta perché questo non vi renderà più liberi ma semmai più obbedienti. In una fase confusa e delicata, la Redazione continua ad avere chiaro che il Corriere della Sera non è uno strumento nelle mani degli azionisti e vi ricorda ancora una volta che la missione di un giornale è di assicurare un’informazione libera, pluralista e, sempre e ovunque, indipendente.
Il CdR del Corriere: Paola Pica Elisabetta Soglio Claudio Colombo Pietro Lanzara