Oggi, 12 agosto, nella pagina degli editoriali del Sole 24 Ore è apparso questo breve op ed non firmato:
Frequenze radiotelevisive
L’Eterno caos dell’etere
L’Italia è un Paese di serie C nella gestione dello spettro delle frequenze destinato alla radiotelevisione. Il “petrolio del XXI secolo”, come l’ha definito la commissaria dell’Ue Viviane Reding, è sfruttato in modo che peggio non si potrebbe. Utilizzo di (troppe) frequenze, mai comunicate agli organismi internazionali. Interferenze, per l’uso della stessa frequenza da parte di più soggetti. Concentrazione, con il duopolio delle risorse. Spreco, a causa delle ridondanze, quando un soggetto copre lo stesso bacino con più frequenze. Questo lo stato dell’arte delle frequenze in Italia. Mai pianificate. Mai assegnate. Mai gestite per aumentarne il valore e far crescere la concorrenza, il pluralismo e i nuovi servizi di telecomunicazione, per i quali le basse frequenze televisive sono le più favorevoli.
Attuare un Piano di assegnazione in linea con le regole internazionali, che elimini le interferenze, ottimizzi la gestione dello spettro e liberi frequenze per nuovi entranti o per altri utenti, permettendo la transizione al digitale, «è come realizzare il ponte sullo Stretto» secondo un esperto del settore. Ha ragione, ma è altrettanto difficile da realizzare, pur non avendo controindicazioni ambientali.
A parte qualche perplessità sul riferimento alle “basse frequenze televisive (…) più favorevoli” allo sviluppo di nuovi servizi di telecomunicazione (basse frequenze? VHF banda I o banda III? Canali bassi della V banda?), è un commento esemplare.
Che non cambierà minimamente la nostra penosa situazione. One Nation, the same lousy station.