L’estinzione delle radio locali (italiane)

Millecanali lancia l’allarme


L’editoriale del numero di settembre (n. 359) della storica rivista Millecanali (alla quale questo periodico è sempre stato vicino, se non altro per il fatto che molti redattori ne sono spesso articolisti) lancia “L’allarme radio locali”.
L’amico Mauro Roffi, si chiede, preoccupato, come mai nessuno (soprattutto sul piano politico) sia turbato dall’epidemia in corso, che sta decimando la specie e che – aggiungiamo noi – ha tratti similari (seppur su piani diversi) con il contagio che sta assalendo la carta stampata, aggredita dall’agente patogeno dell’informazione telematica.
Giusta domanda ed interessante dibattito, quello aperto da Roffi, al quale vogliamo contribuire.
Del funesto fenomeno abbiamo parlato a lungo su queste pagine, in molte occasioni, cercando, fin dove possibile, di ricercare le cause della patologia.
La nostra cartella medica (ma la diagnosi è ancora in corso) espone le seguenti cause preminenti di mortalità delle radio locali:
1) vecchiaia;
2) inedia;
3) mancato ricambio generazionale;
4) disinteresse commerciale;
5) miopia editoriale;
6) soldi.
Più a fondo sui singoli punti, l’estinzione della radio locale trova una delle sue motivazioni nel mancato adeguamento al mutato mercato: oggi le radio libere nell’accezione degli anni ’70 non hanno nessun senso, né mediatico-sociologico, né tecnico.
Cominciando dall’aspetto geografico, rileviamo come le recenti generazioni non distinguano più i mezzi in funzione della loro diffusione (e, a dirla tutta, nemmeno dello strumento di diffusione tecnologico); i giovani di oggi sono stati contaminati dalla nascita da una enorme offerta mediatica, che li ha pervasi, sicché sono insensibili al fascino che infatuò i ventenni degli anni ’70, esaltati dall’improvvisa esplosione di voci alternative alle pochissime accessibili.
Quanto alla dicotomia pubblico/privato, l’attuale pubblico (giovane) pare disinteressato alla distinzione, identificandosi mcluhanamente non nel veicolo ma nel prodotto (ascoltano Fiorello in RAI, come lo ascoltavano a DeeJay), effetto, peraltro, niente affatto negativo, considerato che consente di bypassare antichi pregiudizi di segnatura ideologica (qualcuno già profetizza che, come accade in tv, non ci sarà più la “radio preferita”, ma il “conduttore” o il “programma” d’interesse).
Muore poi chi non ha saputo cogliere la necessità di mutare la propria identità da radio libera (concetto, come abbiamo detto, anacronistico) a radio locale: tipologie profondamente dissonanti per qualsiasi lettore che volesse espandere la riflessione oltre la mera terminologia ed il retaggio socioculturale di specie.
Le radio locali periscono per mancanza del ricambio generazionale. Molto spesso, il sacro fuoco che arse i genitori-fondatori nemmeno intiepidisce l’animo dei figli-successori, sicché, sfiduciati, i primi preferiscono mollare il colpo, ritirandosi e destinando le risorse economiche derivanti dall’alienazione ad attività più aderenti alle reali attitudini degli eredi.
Non raramente, le radio locali affondano tra le burrascose onde del disinteresse commerciale (dell’utenza pubblicitaria): la concorrenza di nuovi strumenti promozionali stordisce l’inserzionista e se la radio – come spessissimo accade – non è (più che) efficace in termini di resa commerciale (il c.d. “ritorno”) viene relegata in fondo alla classifica dei mezzi impiegati.
E’ questo, in realtà, il meccanismo più subdolo: la radio locale non riscuote successo perché non trova la sua (vera) coincidenza; non avendo consenso di pubblico non trova appeal commerciale; non avendo riscontro economico, soccombe abbattuta dalle spese di gestione.
In realtà, trovare la “propria identità” è tutt’altro che semplice: non basta fare un notiziario più o meno locale (attività, nondimeno, niente affatto semplice) per fare una “radio locale”… Senza dilungarci sulla questione (esistono numerosi studi a riguardo e fior di professionisti in grado di disquisire giorni interi sulla questione), ricordiamo il vecchio sprone degli avveduti veterani ai pupilli: “radio locale non deve far rima con banale”.
A riguardo, non rinveniamo di meglio per tratteggiare il concetto che rifarci all’abusato ed antipatico confronto con la stampa: i giornali locali trovano quasi sempre riscontro positivo quando sanno calarsi nella loro identità. Avete mai visto un giornale a tiratura locale (provinciale, ad esempio), scimmiottare, per esempio, Sorrisi & Canzoni Tv? No, naturalmente. Al peggio scopiazza il Corriere della Sera…
E allora perché Radio Paese non riesce a trovare niente di meglio da fare che imitare (malamente, ovviamente) la playlist e la jinglelatura di Radio Network? Miopia editoriale ed imprenditoriale, abbiamo definito questa altra (rilevante) causa di mortalità.
Le radio locali muoiono, infine, per soldi, cioè per la “proposta indecente” che irretisce anche i “iononvenderòmai”.
Quanto può fatturare Radio Paese, che illumina un territorio di 300.000/400.000 abitanti ? Centomila euro? Duecentomila euro? Trecentomila euro (ne dubitiamo)?
Bene, a fronte dei crescenti oneri di gestione, quanto residua all’editore (a livello di utile)? Trentamila euro? Cinquantamila euro? Centomila euro (campa cavallo)?
In realtà considerato che spesso non residua proprio nulla (è un miracolo se si va al pareggio) , come rifiutare l’offerta di cessione dell’impianto di diffusione a Radio Network per un milione (o più) di euro?
Millecanali ha lanciato l’allarme, ma temiamo che i buoi siano ormai scappati dalla stalla.
E la responsabilità crediamo vada oltre alla voglia di libertà dei buoi ed alla disattenzione dello stalliere. (NL)

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