Altro che relax. L’agosto appena trascorso è stato uno dei più difficili del nuovo millennio.
Con ciò non vogliano tornare sulle diverse tragedie umane che hanno flagellato il nostro Paese, dovendo per obiettivo editoriale limitarci a trattare della sfera mediatica, che comunque è stata, anche di riflesso al disastro di Genova, interessata da annunci di novelle normative rilevanti. Per esempio la revisione di quelli che impropriamente sono stati definiti canoni concessori, ma che in realtà si riferiscono ai diritti d’uso per lo sfruttamento delle frequenze DTT di qui al 2022. Oppure la decisione (già presa) di procedere al Twenty Twenty (la migrazione della banda 700 MHz a favore del 5G) con un doppio switch-off di codifica: dal 01/01/2020 dal MPEG2 a MPEG4 (H264) e dal 2022 definitivamente in T2 (H265), previa riassegnazione dei diritti d’uso ai nuovi operatori di rete.
Non va indenne la Radio, a sua volta al centro di avvicendamenti tecnologici importanti, anche se meno traumatici di quelli televisivi (quantomeno perché al momento non si parla di switch-off), che vedono il peso della modulazione di frequenza sempre meno importante nella torta dell’ascolto per device, con visual radio DTT e smart speaker ormai piattaforme significative per la fruizione dei contenuti e, all’orizzonte, le connected car favorite anche dal crollo delle tariffe per le connessioni mobili e la capillarizzazione delle celle 4 e 4,5G. Il tutto condito da una probabile revisione dei titoli concessori, anacronisticamente legati all’ambito territoriale con effetti limitativi sullo sviluppo della stessa tecnologia DAB+ (che senso giuridico e fatturale ha legarne l’implementazione alla presenza in FM?).
L’autunno 2018 sarà ricordato come quello del primo banco di prova dello scenario prossimo venturo del Twenty Twenty, che il confronto con la maturità 4.0 dei media tradizionali.
L’estate sta finendo e la radio e tv stanno diventando grandi. Anche se a tutti non va.