Con sentenza 49437/2009, la Cassazione ha confermato l’ordinanza di sequestro preventivo e di inibizione degli accessi da parte degli ISP nazionali emessa dal GIP di Bergamo il 28/11/2008 a carico del sito svedese www.thepiratebay.com, i cui amministratori sono stati indagati per concorso nel reato di violazione della LDA.
Il caso è ben noto agli internauti più appassionati, nondimeno oggetto di un vivace dibattito tra i "giuristi" della rete. Tutto prende le mosse, come ricordato, dall’ ordinanza nella quale il gip bergamasco disponeva – ex art 322 c.p.p. – il sequestro preventivo del sito Piratebay, con contestuale iscrizione nel registro delle notizie di reato per concorso nel delitto di violazione del diritto d’autore ai sensi dell’art. 171 ter , comma 2, lett. a-bis) della legge 633/1941 dei titolari svedesi del dominio. Nello specifico, il giudice di prime cure ordinava "(…) che i fornitori di servizi internet e segnatamente i provider operanti sul territorio dello stato italiano inibissero ai rispettivi utenti (…) l’accesso all’indirizzo suddetto (www.thepiratebay.com, n.d.r.) ai relativi alias e nomi di dominio rinvianti al sito medesimo" (cfr. Trib. Bergamo, Ord. 24 settembre 2008). Tale provvedimento, non resistette al vaglio del Tribunale del riesame per poi essere confermato – con rinvio al giudice di primo grado – dalla Corte di Cassazione nella statuizione in commento. In merito, Piazza Cavour argomenta con notevole lucidità i capi saldi della propria decisione, al punto da costituire, a nostro parere, interessante punto di partenza dal quale dipanare alcune brevi considerazioni. Prendendo le mosse dalle censure presentate dai ricorrenti in sede di riesame, il Supremo Collegio è perentorio nel ritenere legittima l’applicazione della misura cautelare reale del sequestro preventivo anche ad un sito internet, la cui natura di bene immateriale si ritiene non pregiudichi l’applicazione del vincolo di indisponibilità per effetto di una propria incontestabile dimensione materiale e concreta. Vieppiù, verificati i presupposti del fumus bonis juris e del periculum in mora, gli Ermellini hanno ritenuto il provvedimento de quo legittimamente applicabile nei casi in cui la res oggetto del provvedimento possa vantare un vincolo di pertinenzialità con il reato o agevolarne la commissione di altri (così C. Cass., cit.). Esaurite le questioni preliminari, la Corte entra nel merito della statuizione chiarendo i presupposti del concorso nel reato di violazione del diritto d’autore contestato agli amministratori della Baia dei Pirati. Posto che la responsabilità penale è personale, nel caso in cui il fornitore del protocollo di trasferimento dei file si limiti a mettere a disposizione dei propri utenti la piattaforma di file sharing senza alcuna interazione con gli stessi, nel suo contegno non è ravvisabile alcun profilo di antigiuridicità; ben diversa la circostanza in cui lo stesso indicizzi le informazioni ed i contenuti presenti sul dominio. Nel primo caso, sul fornitore del servizio grava un generale obbligo di sorveglianza sul materiale "scambiato" dagli utenti che, di fatto, si sostanzia in un obbligo – previsto dal d.lgs 70/2003 – di rimozione di quelli segnalati come illeciti dall’Autorità Giudiziaria: in questa circostanza, si dice, uploading e downloading si svolgono alla periferia del server centrale, il quale si limita esclusivamente a fornire l’infrastruttura per il trasferimento dei file con sistema cosiddetto peer to peer. Nel secondo caso, invece, l’indicizzazione dei contenuti alla stregua di un vero e proprio database sul quale viene messo a punto un sistema di ricerca e selezione del materiale (di fatto, nel caso di specie, in gran parte tutelato dal diritto d’autore) in base alle preferenze chiave degli utenti, integra l’ipotesi di concorso nel reato di violazione del diritto d’autore a carico dei titolari del dominio internet. Questo, in estrema sintesi, il capo d’imputazione rivolto dal Tribunale di Bergamo a Piaratebay, mezzo attraverso il quale viene agevolata una condotta criminosa, se non addirittura vero e proprio catalizzatore dell’asserita pirateria informatica. Concludendo, la sentenza della Cassazione ha portato sicuramente scompiglio tra gli internauti, sconcertando – tra gli altri – la stessa Associazione Italiana Internet Provider, attualmente impegnata a denunciare una pretesa errata applicazione del d.lgs 70/2003, la cui inibitoria prevista si riferirebbe "(…) ad ipotesi di hosting e caching, ma non al mero trasporto che è l’attività compiuta da un provider quando fornisce accesso ad un sito straniero" (cfr. Comunicato stampa AIIP 31/12/2009, in http://tlc.aduc.it). Ancora, i provider nazionali ritengono necessaria la rogatoria internazionale per raggiungere gli effetti – a loro dire – forzati dal giudice di legittimità, stante l’estraneità del sito incriminato all’ordinamento giuridico nazionale. A nostro parere, invece, il Palazzaccio sembra aver dato prova dell’estrema duttilità ed adattabilità della normativa vigente e dei più consolidati criteri esegetici ai nuovi orizzonti della rete in attesa che giunga una adeguata regolamentazione della materia. (Stefano Cionini per NL)