C’era una volta MySpace. Il social network si espandeva come una macchia d’olio, destando sempre più interesse tra le grandi società editoriali. Qui intervenne Murdoch che, arrivato tardi alla compravendita di YouTube (attualmente proprietà di Google), scelse di optare per l’acquisto di MySpace, sicuro che un giorno avrebbe potuto gonfiare di pubblicità anche quella community. Ma l’ambiente assumeva ogni giorno un aspetto più sociale: prima utenti unici, poi band emergenti, successivamente le grandi etichette indipendenti, britanniche e non. Tutti desideravano pubblicare i propri contenuti e la propria musica su MySpace, trasformando le proprie opere artistiche in una sorta di core-business di quel social network che, in verità, di utili non ne produceva affatto (emblematica, in questo caso, fu l’ironica vignetta del Times Online che raffigurava Rupert Murdoch alle prese con un rubinetto guasto). Succede ora che MySpace lancia il suo alter ego MySpace Music, offrendo al pubblico canali musicali in streaming con video, concerti, interviste e backstage. Ma il paradosso vuole che la Newscorp abbia stretto accordi solo con Warner, Emi, Sony e Universal (tra l’altro, le stesse major che hanno appena concluso l’intesa con Slot Music di San Disk; cfr. http://www.newslinet.it/shownews.php?nid=6614&h=marco%20menoncello), escludendo dal mucchio tutte quelle band indie che di MySpace hanno fatto, in qualche modo, la (breve) storia. Lo rivela questa mattina il Guardian Online, spiegando che tra i soggetti messi da parte vi sono anche nomi noti come Arctic Monkeys, Radiohead e White Stripes, che all’unisono hanno lamentato le direttive di Newscorp. In proposito Martin Mills, direttore di una delle più grandi etichette indipendenti britanniche, Beggars Group, ha dichiarato: “E’ allo stesso tempo deludente e sorprendente che MySpace, costruito sulla musica di artisti e etichette indipendenti, debba scegliere, ora che ha le major come partner, di lanciare (MySpace Music) senza coloro che ne sono stati il cuore e trattando gli indipendenti come cittadini di seconda classe” (tratto da www.guardian.co.uk). (Marco Menoncello per NL)