Si è chiuso il 16 novembre scorso il XXIX Congresso Nazionale Forense. La crisi della giustizia civile è “un’emergenza sociale”.
Fra i vari temi discussi nel corso dei lavori del XXIX Congresso Nazionale Forense, svoltosi a Bologna dal 13 al 16 novembre, vi è stato anche quello dell’ormai cronica inefficienza della giustizia civile. Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, avv. Guido Alpa, ha evidenziato, nella sua relazione d’apertura, come la macchina della giustizia sia sempre più in affanno e che il rapporto 2006 della Commissione Europea per l’inefficienza della giustizia ha offerto, in riferimento alla situazione italiana, un quadro impietoso. Nel corso dei lavori, dai vari “workshop” tematici e dalle mozioni poi approvate, sono emersi alcuni spunti da parte dell’avvocatura, che vuole essere partecipe dei progetti di riforma del processo civile. Innanzitutto occorre prendere atto che il sistema giustizia civile è ormai al collasso, in termini di progressivo ed inarrestabile aumento dell’arretrato e dei tempi di definizione delle cause. La giustizia, così bloccata, secondo il “workshop” del Congresso sulla razionalizzazione dei processi civili, “incide pesantemente sulla competitività del Paese, oltre che sulla qualità della vita della collettività”. L’inefficienza della giustizia civile viene per tali motivi definita “un’emergenza sociale” che occorre affrontare in modo serio ed adeguato. Secondo l’avvocatura la questione va, appunto, affrontata e non, come spesso è avvenuto, rimandata semplicemente introducendo interventi di tipo parziale nel processo, con un piano a medio termine. Uno degli indirizzi da seguire, secondo il lavori del Congresso, può essere quello della semplificazione e razionalizzazione dei riti del processo. Occorre dunque, secondo il Congresso, introdurre un rito processuale base, sufficientemente flessibile ed adattabile alle varie fattispecie, con degli accorgimenti che possono renderlo funzionale anche al diritto di famiglia ed al diritto del lavoro. È poi fortemente sentita la necessità di semplificare la procedura e di uniformare anche i termini di impugnativa, reclamo od opposizione. Tali accorgimenti, che potrebbero avere dei risvolti positivi sul piano della funzionalità, potrebbero essere introdotti dal legislatore molto velocemente. Pessima dal punto di vista dell’avvocatura è ritenuta l’idea del legislatore di voler invece introdurre il processo sommario di cognizione (che probabilmente si aggiungerebbe, senza ottenere risultati di sorta, ai numerosi altri riti oggi esistenti), e di voler limitare le possibilità di difesa delle parti modificando l’art. 183 c.p.c., a vantaggio di un eccessivo potere discrezionale del giudice e senza effetti positivi sulla durata dei processi. Molte delle soluzioni ai problemi del processo civile che sono al vaglio del Parlamento paiono all’avvocatura discutibili. Forti dubbi riguardano ad esempio l’aumento del valore delle cause assegnate ai giudici di pace, la semplificazione della motivazione delle sentenze e l’esclusione del giudizio di cassazione nel caso di sentenza di appello confermativa di quella di primo grado. Bisognerebbe, secondo l’avvocatura, favorire invece i meccanismi alternativi di soluzione delle controversie quali la mediazione e la conciliazione, purché sia garantita anche la professionalità dei mediatori. La frase “l’Avvocatura italiana respinge la via puramente emergenziale della deflazione indiscriminata a costo zero e della sommarizzazione del processo”, contenuta in una delle mozioni approvate al termine dei lavori del XXIX Congresso Nazionale Forense, riassume e stigmatizza l’opinione dell’avvocatura sui progetti di riforma del processo civile che il governo vorrebbe attuare. (D.A. per NL)