da Franco Abruzzo.it
“Per concludere, si deve ritenere che l’Ordine dei Giornalisti non possa legittimamente rigettare l’istanza di iscrizione al Registro dei Praticanti per il solo motivo che il richiedente è stato assunto per un termine di breve durata. Infatti, l’eventuale rigetto sarebbe – appunto – illegittimo, e l’Ordine rischierebbe di subire azioni giudiziarie da parte dell’aspirante praticante che ha visto bocciata la propria istanza”.
di Mario Fezzi, avvocato in Milano
Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia chiede un parere in merito alla possibilità di iscrivere al registro dei praticanti coloro i quali vengano assunti per svolgere attività giornalistica a termine.
Il problema si pone in quanto, nelle realtà editoriali, accade (purtroppo sempre più frequentemente) che il termine apposto al contratto sia per una breve sostituzione, anche di due o tre mesi. Addirittura, talvolta si verifica il fenomeno del c.d. praticante verticale: l’attività giornalistica, soprattutto di natura sportiva, è richiesta per tutti i fine settimana nel periodo in cui si svolge il campionato di calcio.
Come si vede, si tratta di ipotesi in cui l’aspirante praticante non può, nell’ambito del singolo rapporto di lavoro, raggiungere i 18 mesi di pratica. Si tratta pertanto di capire se questi pochi mesi di pratica effettiva possano essere cumulati con altri periodi di pratica, al fine di raggiungere complessivamente il tetto dei 18 mesi, e quindi se ammettere questo lavoratore all’iscrizione al registro dei praticanti, o se invece il cumulo sia inammissibile e, pertanto, sia inammissibile anche l’iscrizione.
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La materia trova compiuta definizione, innanzi tutto, nella L. 3/2/63 n. 69 sulla professione giornalistica, nonché nel DPR 4/2/65 n. 115, contenente il Regolamento per l’esecuzione della legge prima citata.
Con particolare riferimento alla citata legge, rilevano le seguenti disposizioni:
Ø art. 29: dispone che, per l’iscrizione nell’elenco dei professioni, è tra l’altro necessaria l’iscrizione nel registro dei praticanti, nonché l’esercizio continuativo della pratica giornalistica per almeno 18 mesi e il superamento della prova di idoneità professionale;
Ø art. 33: dispone che nel registro dei praticanti possono essere iscritti coloro che intendono avviarsi alla professione giornalistica e che abbiano compiuto 18 anni di età. L’interessato deve presentare apposita domanda, corredata da alcuni documenti indicati dalla norma, tra cui una dichiarazione del direttore, comprovante l’effettivo inizio della pratica. La norma demanda al Consiglio dell’Ordine l’accertamento del possesso di altri requisiti, quali la cittadinanza, la buona condotta e l’assenza di precedenti penali. E’ previsto anche che l’iscrizione sia subordinata al superamento di un esame di cultura generale, che però non è necessario se il candidato è in possesso di titolo di studio non inferiore alla licenzia di scuola media superiore;posita domanda, corrdata da alcuni documenti indicati dalla norma, tra cui una dihiarazione del d;
Ø art. 34: indica dove deve essere svolta la pratica (presso un quotidiano, presso il servizio giornalistico della radio o della televisione, art. 34: dispone che la pratica deve svolgersi presso un quotidianoartpresso un’agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari, o presso un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari). La norma precisa che dopo 18 mesi, a richiesta del praticante, il direttore responsabile rilascia una dichiarazione motivata sull’attività giornalistica svolta. L’ultimo comma della norma dispone infine che il praticante non può rimanere iscritto per più di tre anni nel registro.
Del citato DPR interessa soprattutto l’art. 41. Il primo comma della norma, dispone testualmente quanto segue: “La pratica, nell’ambito dei tre anni di iscrizione nel registro, deve essere continuativa ed effettiva: del periodo di interruzione dipendente da cause di forza maggiore non si tiene conto agli effetti della decorrenza del termine di cui all’art. 34, ultimo comma, della legge” (come si è già detto, si tratta della norma che prevede il termine di tre anni per la permanenza dell’iscrizione nel registro dei praticanti).
Prima di concludere questa breve rassegna normativa, non si può dimenticare che il rapporto di praticantato è disciplinato anche dall’art. 35 CNL Giornalistico. Ai fini che qui interessano, si può in particolare ricordare il comma 4 della norma: “All’atto dell’assunzione i praticanti dovranno esibire all’editore la prova documentata del periodo di pratica giornalistica eventualmente svolta presso altri editori”. La stessa norma precisa anche che al praticante si applica, tra l’altro, l’art. 3 CNL Giornalistico, in tema di rapporto di lavoro a termine.
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Come si vede, la normativa che disciplina la materia è molto chiara in merito alla durata della pratica, precisando che la stessa deve durare non meno di 18 mesi e non più di tre anni. In altre parole, il praticante che non abbia raggiunto il diciottesimo mese di pratica non può sostenere la prova di idoneità professionale; il praticante iscritto da oltre tre anni e che non abbia superato detta prova può essere cancellato dal registro.
Tuttavia, la normativa non è altrettanto chiara rispetto al problema che deve essere affrontato in questa sede, giacché non è mai detto esplicitamente se i 18 mesi di durata minima della pratica debbano essere ininterrotti, o se il relativo periodo possa anche essere frazionato (purché, ovviamente, nell’arco temporale complessivo di tre anni). Anzi, il fatto che le norme sopra richiamate facciano uso dell’aggettivo continuativo potrebbe, a un primo sommario esame, indurre a concludere nel senso che la pratica non può essere frazionata.
Tuttavia, un più attento esame della normativa porta a una conclusione diametralmente contraria. Infatti, non si può trascurare che gli archi temporali di riferimento, come si è visto, sono due: uno minimo e l’altro massimo. In altre parole, la pratica deve essere di 18 mesi continuativi in un arco temporale di tre anni. In questa prospettiva, l’aggettivo continuativo non può essere inteso quale sinonimo di ininterrotto: se così fosse, non si capirebbe più l’utilità di dilatare fino a tre anni la durata massima del periodo di praticantato. Invece, proprio il fatto che il praticante può rimanere nel Registro fino a tre anni dimostra che la durata minima dei 18 mesi non necessariamente debba essere ininterrotta, e che dunque possa essere anche frazionata.
Sulla scorta di quanto fin qui osservato, si può pertanto concludere che l’aggettivo continuativo non è utilizzato come sinonimo di ininterrotto; piuttosto, l’aggettivo significa che continua, che dura: il praticantato deve durare per 18 mesi in un arco temporale complessivo di riferimento di tre anni e, inevitabilmente, questa durata può anche essere frazionata.
Certamente, a questa osservazione si potrebbe obiettare che il termine massimo dei tre anni è una garanzia posta a favore del praticante che, pur dopo aver maturato 18 mesi ininterrotti di pratica, non riesca a superare al primo tentativo la prova di idoneità professionale. In altre parole, il termine dei tre anni garantisce al praticante almeno una seconda opportunità; ciò però non toglie – si potrebbe sostenere – che i 18 mesi debbano essere continuativi.
Una simile argomentazione è però in contrasto con altre risultanze della normativa sopra riferita. Si ricorderà infatti che il comma 1 dell’art. 41 del citato DPR dispone esplicitamente che del periodo di interruzione della pratica, dovuta a cause di forza maggiore, non si tiene conto per il calcolo dei tre anni di durata massima del praticantato. Ora, se fosse previsto che i 18 mesi di pratica devono essere ininterrotti, la norma appena citata direbbe troppo e sarebbe mal formulata. In altre parole, se i 18 mesi fossero continuativi, l’art. 41 del DPR avrebbe dovuto disporre che dell’interruzione per forza maggiore non si tien conto per la maturazione del diciottesimo mese. Al contrario, e come si è visto, la norma dispone con riguardo all’altro arco temporale di riferimento, quello massimo dei tre anni. Ciò significa che, di per sé, ogni interruzione della pratica non azzera l’arco temporale minore dei 18 mesi; se l’interruzione è qualificata dalla forza maggiore, di essa non si tien conto per il computo dei tre anni, se l’interruzione non è qualificata dalla forza maggiore, il termine di tre anni continua a decorrere. Tuttavia, in entrambi i casi, e inevitabilmente, non si verifica l’azzeramento del termine di diciotto mesi.
Una riprova che questa è l’interpretazione corretta della normativa sta nel CNL Giornalistico. Il citato art. 35, come si è detto, prevede esplicitamente il caso della pratica svolta alle dipendenze di diversi editori. Ciò evidentemente sta a significare che le parti collettive (coerentemente con la normativa sopra riferita) hanno contemplato l’ipotesi che la pratica sia frazionata, non solo nel senso di essere svolta alle dipendenze di diversi editori, ma anche ed evidentemente nel senso che la pratica può non essere continuativa. Infatti, l’ipotesi che un praticante cessi il rapporto alle dipendenze di un editore e ne inizi un altro alle dipendenze di altro editore senza soluzione temporale di continuità è talmente rara da non meritare un’apposita regolamentazione da parte del contratto.
Ciò pertanto significa che le stesse parti stipulanti il CNL Giornalistico hanno interpretato la normativa di legge e regolamentare nel senso di consentire la possibilità di un praticantato frazionato, purché ovviamente contenuto nel termine triennale massimo. Del resto, si è pure visto che l’art. 35 CNL Giornalistico richiama esplicitamente anche la norma contrattuale relativa al contratto a termine. Ora è vero che astrattamente il contratto a termine può durare diciotto mesi e più; tuttavia, è ancor più vero che nella realtà i contratti a termine hanno una durata inferiore, il che porta inevitabilmente a periodi di praticantato frazionati.
Va sottolineato che la normativa appena riferita non ha semplicemente la forza di un autorevole parere delle parti stipulanti il contratto. Infatti, la disposizione era già contenuta nel CCNL 10/1/1959, reso efficace erga omnes con D.P.R. 16/1/1961 n. 153 in virtù della legge n. 14/7/59 n. 741: in altre parole, si tratta di una norma con forza di legge.
Per concludere, e per i motivi sopra esposti, si deve ritenere che l’Ordine dei Giornalisti non possa legittimamente rigettare l’istanza di iscrizione al Registro dei Praticanti per il solo motivo che il richiedente è stato assunto per un termine di breve durata. Infatti, l’eventuale rigetto sarebbe – appunto – illegittimo, e l’Ordine rischierebbe di subire azioni giudiziarie da parte dell’aspirante praticante che ha visto bocciata la propria istanza.
Milano, 6 febbraio 2008