C’era una volta una Tv originale, creativa, elegante, un po’ fuori dagli schemi, quasi indipendente e abbastanza pluralista, con la possibilità di affermare qualcosa in campo televisivo, al di fuori dal duopolio imperante Rai-Mediaset.
Era La7, già Tmc: un telesogno svanito di Fazio-Santoro-Costanzo, accarezzato da Cecchi Gori, portatogli via da Colaninno, tenuto in vita da Tronchetti e oggi ucciso con il silenziatore da Bernabè.
Su La7 Bernabè è sempre stato un po’ reticente e un po’ ambiguo: “Non la cederemo ma non è una priorità” e così via dicendo. Oggi il taglio dei 25 giornalisti e delle redazioni estere, la fuoriuscita di Chiambretti, quella futura e già annunciata della Bignardi sono le ultime gocce di un vaso dove l’acqua è già stata abbondantemente prosciugata dai tagli della gestione Stella, l’assistente di Bernabè che ama definirsi il “canaro” perchè sui tagli non ci va leggero.
Per Telecom Italia è chiaro che La7 è una palla al piede: mai stata in attivo, strangolata da un mercato della pubblicità che non potrà essere cambiato per non dispiacere al premier in carica. Bernabè, che taglia posti di lavoro e cerca di concentrarsi sul business della banda larga, non ha un euro da metterci dentro.
Anche la decisione di Telecom Italia di fare concorrenza a Seat e all’892424, attraverso la sua controllata Matrix, per raccogliere pubblicità locale da mettere su Virgilio e nel canale telefonico 1254, dimostra che in La7 sul piano pubblicitario Telecom non crede; non può neanche trasformarla in un operatore mobile virtuale, come ha fatto con Mtv.
La cosa più saggia a questo punto sarebbe di trovare un investitore che ci creda e che voglia fare il mestiere della Tv. In Italia molti sono disposti a giocarsi una fiche su Alitalia per far piacere al presidente del Consiglio, ma nessuno è così pazzo da volergli dispiacere, facendogli concorrenza proprio nelle Tv.