“Sono l’unico artista che sta pagando per questa situazione e non mi sta bene”, ha dichiarato nei giorni scorsi Gigi d’Alessio, riferendosi al braccio di ferro in corso tra i discografici e le radio.
La vicenda è nota. La rappresentanza delle case discografiche (SCF) ha imposto alle emittenti un aumento dell’aliquota da versare per i diritti connessi ai diritti d’autore dall’uno al quattro per cento del fatturato. Richiesta ritenuta eccessiva dagli editori radiofonici, che, per dimostrare di non essere solo dei gabellabili ma di far parte di un meccanismo virtuoso della discografia, hanno sospeso la programmazione delle novità musicali, frenandone la vendita e appannandone la notorietà. “Altri colleghi con nomi altisonanti hanno fermato la pubblicazione delle loro novità per non incorrere nella censura dei network”, ha detto D’Alessio. “Non so come andrà a finire ma non è possibile che siano penalizzati gli artisti in primis e il pubblico che non può ascoltare le novità”. Un consiglio a D’Alessio: esponga le sue doglianze a Saverio Lupica, presidente SCF, che all’inizio della vicenda alla domanda se l’iniziativa delle radio costituisse un grosso danno per le case discografiche, aveva risposto: “A sentire i nostri consorziati, non mi pare”.