Sul Public Policy Blog dell’azienda di Mountain View, infatti, è stato pubblicato un post, che descrive in ogni dettaglio le motivazioni di questa presa di posizione e le prospettive del broadcasting digitale.
Il core-think della normativa – che trova d’accordo Google e l’Authority anglosassone – è che bisogna distinguere la classica televisione di flusso da quella on-demand.
“Tutto ciò che assomiglia alla televisione che si guarda normalmente appartiene alla prima categoria; i contenuti auto-prodotti, come YouTube e Google Video, apparterranno alla seconda”, scrive Patricia Moll, European Policy Manager di Google, sul blog. Il notissimo problema dei cosiddetti emendamenti pericolosi sembra ormai alle spalle sebbene il Parlamento Europeo debba ancora procedere con l’approvazione definitiva.
“La direttiva contiene importanti misure volte a proteggere gli utenti, soprattutto i bambini, dai contenuti pericolosi e illegali. Inoltre sono previste una serie di nuove norme per assicurare che non vi siano contenuti on-demand che incitino all’odio per motivi razziali, orientamento sessuale, nazionalità, etnia, religione o età. Google concorda con queste regole, che riflettono la stessa linea presente nei nostri contratti con gli utenti”, continua Moll.
Qualche critica invece è indirizzata nei confronti dell’intenzione di continuare a far valere “il principio di origine” per le varie produzioni video comunitarie. Secondo Google, le normative delle varie nazioni europee sono così simili che basterebbe un unico regolamento condiviso.
“Ci aspettiamo che il Parlamento Europeo voti il prossimo autunno. Quando questo avverrà gli Stati membri dovranno adeguarsi entro al massimo 2 anni. Seguiremo quindi da vicino la questione, e se ci sarà bisogno ci sforzeremo per fare in modo che i legislatori non impongano regolamenti inutili che possano interrompere la fantastica crescita dei contenuti auto-prodotti”, conclude Moll.
Dario d’Elia