I dati italiani di fine anno confermano ancora una volta le tendenze in atto da diverso tempo: in uno scenario di perdurante crisi degli investimenti e dei consumi, il mercato che ruota intorno alla comunicazione di massa sconta un continuo dimagrimento, da cui si salva, in netta controtendenza, solamente la rete internet.
I segnali sono molteplici. Innanzitutto le ormai consuete statistiche sulla raccolta pubblicitaria, che a fronte di un calo generale del settore dell’11,7% (giornali – 15,4%, TV – 12,4%) fanno registrare una crescita della rete pari a quasi il 10% (fonte: Italia Oggi – Nielsen). Poi le vendite di apparecchi televisivi: nel 2012 il mercato è sceso quasi del 9%, ma il settore delle smart-TV connesse a internet è cresciuto con percentuali a tre cifre (fonte: Italia Oggi – Gfk). Infine le strategie dei grandi player, che puntano sempre di più all’articolazione dell’offerta sui servizi on-demand in mobilità e tramite dispositivi intelligenti. Con molta cautela, probabilmente eccessiva rispetto alle aspettative degli utenti, anche in Italia i broadcaster stanno infatti cominciando a capire che il tradizionale modello uno-a-molti, con palinsesto chiuso e preordinato, ha fatto ormai il suo tempo. Anche se questi paradigmi innovativi si sviluppano per ora solo all’interno di ben precise offerte di pay-tv. Tutto il panorama in chiaro (che, è bene ricordarlo, è quello su cui si concentrano la gran parte degli investimenti pubblicitari) è ancor oggi saldamente legato a logiche elaborate agli albori della tv commerciale: stiamo parlando di una trentina di anni fa, la preistoria dell’attuale scenario tecnologico. Siamo in realtà immersi in una lunga fase di transizione, durante la quale chi tira le fila del business sta cercando di capire quale sia la direzione giusta da prendere per assecondare l’evoluzione del mercato. A fronte dell’inarrestabile calo (anche in valori assoluti) della primaria fonte di profitti, ovvero la pubblicità, non è ancora chiaro a nessuno quale sarà il modello che potrà garantire la sopravvivenza in futuro. C’è persino chi, come Sky, tenta di riattivare l’interesse degli investitori implementando nella televisione via satellite i feedback interattivi tipici del web, con un meccanismo che sfrutta le capacità di elaborazione dei decoder più evoluti per selezionare gli annunci pubblicitari in base alle preferenze degli utenti. Tutti sono convinti che la rete sarà in futuro un elemento imprescindibile, ma le idee su come monetizzare la fruizione liquida e imprevedibile dei contenuti multimediali, tipica dell’era di internet, nascono e muoiono nello spazio di un mattino, scontrandosi con la volatilità di utenti ormai abituati a una vastissima disponibilità più o meno legale di materiali gratuiti e liberamente accessibili. Le attuali tendenze si concentrano su due fronti. Da una parte si punta sulle politiche di enforcement del diritto d’autore sul web, che peraltro rischiano di mettere gli attori del mercato l’uno contro l’altro (over-the-top contro editori, utenti contro telco, e così via), e sono già fonte di infinite polemiche che coinvolgono inevitabilmente temi delicati, come la neutralità della rete o la libertà di espressione. Dall’altra, si cerca di incrementare la disponibilità di servizi di accesso “facili” e a buon mercato, che siano in grado di coinvolgere il grande pubblico con scarsa alfabetizzazione tecnologica, in transizione dal salotto catodico ai dispositivi smart, siano essi televisori, cellulari o altro, che si pongano come obiettivo primario quello di offrire un approccio semplificato e rapido ad un sottoinsieme di contenuti opportunamente selezionati, frutto di accordi trasversali tra costruttori di hardware, over-the-top e case di produzione multimediale. Accordi a cui anche i broadcaster sembrano essere interessati, come dimostra il recente annuncio dell’inserimento dell’app personalizzata di Mediaset Premium Play nelle smart tv di Samsung. Lo scopo di queste strategie è evidentemente quello di catturare l’utente evoluto ma non troppo, consapevole delle possibilità dell’accesso alla rete ma desideroso di un’interfaccia priva di complicazioni e che non richieda competenze informatiche. Un fruitore che vuole contenuti di qualità accessibili facilmente e senza vincoli spazio-temporali, e che per questo è anche disposto a pagare un equo corrispettivo. Data però la perdurante situazione di crisi, la consistenza di questo target è forse un po’ sopravvalutata; senza contare che l’offerta dei “walled garden” on demand è ancora assai limitata in qualità e quantità, cosa che non la rende poi così appetibile alla gran parte del potenziale pubblico. Nel frattempo, i margini di profitto della televisione “così come la conosciamo” si riducono sempre di più, e aumenta la probabilità che nel prossimo futuro si impongano scelte, se non drastiche, almeno più coraggiose nella direzione della rete. (E.D. per NL)