da Millecanali
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In redazione ce lo ricordiamo bene, anche se sono passati diversi anni e anche se poi (come è lecito e normale che accada) aveva preferito lasciare Millecanali e ‘cambiare fronte’, fondando e gestendo con attenzione e oculatezza assieme ad Andrea Rivetta (a sua volta ex redattore di Millecanali) una rivista ‘alternativa’ di broadcast, radio e televisione, ovvero ‘Broadcast & Production’.
Dario Calabrese per noi, modesti ‘redattori radiotelevisivi’, era allora ‘il broadcast’, ovvero quella cosa, a metà fra tecnologia e mercato, che consentiva alla rivista di vivere, di andare avanti e nei momenti migliori anche di avere qualche buon utile a bilancio. Era il riferimento sicuro per tutto ciò che riguardava i prodotti per ‘fare’ e diffondere la Radio, la Televisione, la produzione audiovisiva in genere.
Si sentiva (ed era) tecnico ‘pieno’, grande professionista e profondo conoscitore della materia, che per alcuni di noi era invece un oggetto un po’ misterioso, ed era sempre pronto a spiegarti con lucidità e di intelligenza ogni cosa; lo si vedeva poi anche da ciò che scriveva, con una grande capacità di far capire bene ai lettori anche le cose più difficili ed ‘ostiche’. Era questa bravura nello spiegare, unita a una scrittura chiara, efficace e ordinata, era il suo metodo di lavoro, che era rigoroso ed esigente con se stesso (ma anche con gli altri), a renderlo difficilmente sostituibile alla guida di quella ‘sezione broadcast’ che da sempre è il ‘riferimento’ di Millecanali sul mercato (anche pubblicitario).
Ma Dario non era un ‘tecnico puro’ (ammesso che questa ‘strana figura’ esista). Sapeva ‘vivere’, godersi la vita, distinguere il lavoro dalle pause e dai momenti di divertimento; era poi curioso e un po’ onnivoro in tema di cultura, gli piaceva dimostrare che le sue conoscenze non si limitavano al campo della tecnologia ma spaziavano anche su altri fronti; conosceva poi il valore del suo lavoro ed era capace di farlo valere anche in termini economici (come è giusto che sia); era poi eclettico, grande viaggiatore e tessitore di relazioni umane, molto utili per gli articoli e i rapporti commerciali.
Formazione al Politecnico, campano di nascita, una figlia (Raffaella), viveva da molti anni a San Felice (Milano) e, come ricorda Rivetta, «aveva un modo, coraggioso e profondamente ottimista, di affrontare la vita e il lavoro. Ed è stato il modo con cui ha affrontato la malattia».
Una malattia lunga e dolorosa, talora anche per chi lo incontrava in questi ultimi anni, che lo ha progressivamente allontanato da qual lavoro che tanto amava.
E allora ci piace invece ricordarlo ancora com’era ai tempi d’oro, all’opera, in pieno vigore (come sempre), su una rivista di broadcast, a redigere e correggere un articolo, con la precisione e la pignoleria di sempre. Ci incuteva anche rispetto ai tempi, perché era appunto anche un po’ severo ed esigente, anche con gli altri redattori, come lo era con se stesso. Ma se un articolo finiva nelle sue mani, si poteva stare tranquilli: il risultato, in stampa, era sempre buono, se non ottimo.
Vecchia scuola, verrebbe da dire, e anche a lui dobbiamo la fama di autorevolezza e prestigio che questa nostra testata ha acquisito nel tempo. Ciao e grazie, Dario (Mauro Roffi)