Secondo l’indagine del Censis gli italiani scelgono il proprio legale spinti dalla fiducia nella sua professionalità.
L’indagine statistica realizzata dal Censis nel 2008 su commissione del Consiglio Nazionale Forense e presentata nel corso del XXIX congresso dell’avvocatura tenutosi il 14 novembre scorso ha analizzato la percezione ed il gradimento di un campione di popolazione (composto da 1500 persone) che ha avuto esperienze dirette di prestazioni legali negli ultimi 10 anni. Nell’editoriale della rivista Guida al Diritto del Sole 24 Ore n. 50 del 20 dicembre 2008 la responsabile del settore lavoro e professioni del Censis, Maria Pia Camusi, esprime la propria opinione sui risultati dell’indagine. Ciò che interessa di più al cittadino, cliente medio, che abbia bisogno dell’assistenza di un legale, è che il professionista sia competente e possa risolvere il suo problema, cosa che non comporta necessariamente un successo in giudizio, anzi spesso la soluzione del problema è molto più complessa e ben può essere risolta con l’attività di mediazione e di conciliazione. Nella scelta dell’avvocato incide poi molto il meccanismo del “passa parola”, delle esperienze pregresse di amici o parenti nonché dell’immagine pubblica di cui il professionista gode. Dai risultati dell’indagine risulta poi che il costo delle prestazioni dell’avvocato non è, come invece creduto secondo alcuni luoghi comuni, di per sé un elemento negativo tale da incidere sulla scelta dell’avvocato o sul giudizio che il cliente ha nei suoi confronti. Infatti dalla ricerca del Censis è emerso che, nella maggioranza dei casi, le tariffe applicate sono ritenute chiare; che solo il 6,3% di chi ha cambiato avvocato lo ha fatto per problemi di parcelle troppo alte; per l’87,3% dei clienti non è vero che se un avvocato pratica tariffe troppo basse vuol dire che non è bravo; il 58,1% ritiene poi che la colpa dei costi della giustizia non sia degli avvocati (il che smentisce fra l’altro il luogo comune secondo cui i tempi dei processi vengono dilatati apposta dagli avvocati per aumentare i compensi secondo il detto “pratica che pende rende”). Il cliente non pone dunque attenzione sulla tariffa – cosa che probabilmente invece ha pensato il ministro Bersani nella preparazione del suo famoso decreto sulle liberalizzazioni – ma sull’interesse che l’avvocato riserva per la soddisfazione delle problematiche sottoposte, sulla continuità dell’assistenza, sulla capacità del legale di comprendere i suoi bisogni e sulla tutela della riservatezza. Alla libera professione legale è dunque riconosciuta un forte valore sociale ed un ruolo centrale nel sistema giustizia poiché, come segnala anche la responsabile Censis del settore lavoro e professioni, è risultato che il 64,5% dei clienti pensa che gli avvocati aiutino a raggiungere soluzioni extragiudiziali dei conflitti; il 70,4% degli assistiti ritiene che senza gli avvocati mancherebbero le garanzie nei processi; il 66,7% dei clienti non è d’accordo sul fatto che senza gli avvocati i processi sarebbero più veloci; il 64,4% ritiene che l’avvocato aiuti a prendere le decisioni personali ed economiche giuste. Dall’indagine Censis 2008 risulta, dunque, un giudizio del tutto positivo dei cittadini nei confronti dei professionisti del foro. Alla luce di ciò, secondo Maria Pia Camusi “la fiducia e il riconoscimento esteso che la clientela riconosce agli avvocati è sicuramente un elemento che impegna la categoria a migliorare sempre più le sue prestazioni, affinché il suo patrimonio di riconoscimento sociale non vada in nessun modo disperso, ma si accresca, anzi, a vantaggio, in definitiva, della collettività stessa”. (D.A. per NL)