Togliere la pubblicità dalla tv pubblica francese non è stata proprio una buona idea. Se Confalonieri, presidente di Mediaset, ha definito “inutile” la legge con cui il Presidente Nicolas Sarkozy ha voluto eliminare gli spot pubblicitari da France Tèlèvisions (France 2, France 3, France 4 e France 5), nella fascia oraria compresa tra le 20.00 e le 06.00, tale normativa può addirittura essere considerata disastrosa.
Questo giudizio sorge spontaneo se si guarda ai risultati, negativi in termini di ricavi e di audience, che la medesima legge ha determinato a distanza di pochi mesi dalla sua applicazione, avvenuta lo scorso 5 gennaio. Gli effetti dell’iniziativa francese sono stati ben illustrati dal Corriere della Sera (edizione del 20/04/2009), nel quale si legge che l’assenza dei spot ha, innanzitutto, colpito le risorse pubblicitarie della tv generalista privata. Contrariamente a quanto si prevedeva, non vi è stato infatti uno spostamento di queste risorse dalla rete pubblica alle reti private, i cui introiti da spot sono addirittura calati di una percentuale superiore al 20%. E’ questo il caso della principale tv privata d’Oltralpe, Tf1, che, come ha riferito Augusto Preta di ITMedia Consulting, “nei primi due mesi del 2009 ha visto i suoi ricavi pubblicitari lordi diminuire del 20,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008, con una caduta del titolo in Borsa del 50 per cento”.Negativo anche il bilancio della tv privata M6, i cui ricavi da spot sono calati del 10%. In sostanza, a giudizio di Preta, gli inserzionisti, soprattutto a causa della crisi economica attuale, anziché programmare gli spot sulle tv private generaliste, hanno deciso di ridurre l’investimento in pubblicità. Scelta, questa, che secondo il consulente televisivo Erik Lambert, troverebbe una spiegazione nelle modalità con cui vengono organizzate le campagne pubblicitarie. Da quando i pianificatori pubblicitari non hanno più avuto la possibilità di reclamizzare i prodotti su tutti i canali, gli investimenti sono spariti. Come ha chiarito Lambert, affinché una campagna produca i suoi effetti “lo spot deve essere visto da tre a cinque volte. Ciò significa comprare spazi su tutte le reti, non solo su alcune”, in quanto “non si risolve il problema della massima copertura investendo di più su una sola rete, ma solo investendo su tutte”. Evidentemente, chi ha approvato la legge francese, definita quindi da Lambert un’operazione “sbagliata alla radice”, non ha tenuto conto di questi fattori. Allo stesso modo, non ha riflettuto sul fatto che “togliendo la pubblicità si favorisce il declino della tivù generalista”, come ha dichiarato il manager televisivo svizzero Albino Pedroia alla luce degli altrettanto sfavorevoli risultati che l’iniziativa d’oltralpe ha portato in termini di ascolti. Se l’obiettivo era quello di aumentare l’audience di France Tèlèvisions, i dati parlano di un ascolto addirittura diminuito. A questo punto viene da chiedersi se, come spesso si sostiene, il servizio pubblico radiotelevisivo sia veramente migliore senza la pubblicità, oppure se, come dichiarato dal critico televisivo Aldo Grasso sulle stesse pagine del Corriere della Sera, “una tv pubblica senza risorse pubblicitarie rischia di diventare una tv di nicchia, tendenzialmente noiosa e presuntuosamente pedagogizzante”. Con la conseguenza di avere, come dice Pedroia, “il servizio pubblico senza pubblico”. (D.A. per NL)
Questo giudizio sorge spontaneo se si guarda ai risultati, negativi in termini di ricavi e di audience, che la medesima legge ha determinato a distanza di pochi mesi dalla sua applicazione, avvenuta lo scorso 5 gennaio. Gli effetti dell’iniziativa francese sono stati ben illustrati dal Corriere della Sera (edizione del 20/04/2009), nel quale si legge che l’assenza dei spot ha, innanzitutto, colpito le risorse pubblicitarie della tv generalista privata. Contrariamente a quanto si prevedeva, non vi è stato infatti uno spostamento di queste risorse dalla rete pubblica alle reti private, i cui introiti da spot sono addirittura calati di una percentuale superiore al 20%. E’ questo il caso della principale tv privata d’Oltralpe, Tf1, che, come ha riferito Augusto Preta di ITMedia Consulting, “nei primi due mesi del 2009 ha visto i suoi ricavi pubblicitari lordi diminuire del 20,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008, con una caduta del titolo in Borsa del 50 per cento”.Negativo anche il bilancio della tv privata M6, i cui ricavi da spot sono calati del 10%. In sostanza, a giudizio di Preta, gli inserzionisti, soprattutto a causa della crisi economica attuale, anziché programmare gli spot sulle tv private generaliste, hanno deciso di ridurre l’investimento in pubblicità. Scelta, questa, che secondo il consulente televisivo Erik Lambert, troverebbe una spiegazione nelle modalità con cui vengono organizzate le campagne pubblicitarie. Da quando i pianificatori pubblicitari non hanno più avuto la possibilità di reclamizzare i prodotti su tutti i canali, gli investimenti sono spariti. Come ha chiarito Lambert, affinché una campagna produca i suoi effetti “lo spot deve essere visto da tre a cinque volte. Ciò significa comprare spazi su tutte le reti, non solo su alcune”, in quanto “non si risolve il problema della massima copertura investendo di più su una sola rete, ma solo investendo su tutte”. Evidentemente, chi ha approvato la legge francese, definita quindi da Lambert un’operazione “sbagliata alla radice”, non ha tenuto conto di questi fattori. Allo stesso modo, non ha riflettuto sul fatto che “togliendo la pubblicità si favorisce il declino della tivù generalista”, come ha dichiarato il manager televisivo svizzero Albino Pedroia alla luce degli altrettanto sfavorevoli risultati che l’iniziativa d’oltralpe ha portato in termini di ascolti. Se l’obiettivo era quello di aumentare l’audience di France Tèlèvisions, i dati parlano di un ascolto addirittura diminuito. A questo punto viene da chiedersi se, come spesso si sostiene, il servizio pubblico radiotelevisivo sia veramente migliore senza la pubblicità, oppure se, come dichiarato dal critico televisivo Aldo Grasso sulle stesse pagine del Corriere della Sera, “una tv pubblica senza risorse pubblicitarie rischia di diventare una tv di nicchia, tendenzialmente noiosa e presuntuosamente pedagogizzante”. Con la conseguenza di avere, come dice Pedroia, “il servizio pubblico senza pubblico”. (D.A. per NL)