La Commissione Parlamentare di Vigilanza “vieta” i dibattiti tv. Gli unici strumenti disponibili peri candidati saranno tribune elettorali, interviste e conferenze stampa.
Negli Stati Uniti i dibattiti tra i candidati alle Presidenziali del 4 novembre non si contano sulle dita di due mani. Siamo ancora in fase “primarie” e gli scontri incrociati tra tutti i pretendenti alla Casa Bianca avvengono con cadenza quasi bisettimanale. In Italia, no. In Italia si gioca sporco, perché è facile intuire quanto il dibattito televisivo, uno dei principali e più seguiti eventi pre-elettorali, giochi appannaggio del candidato indietro nei sondaggi. La regola è semplice: se uno è avanti nei sondaggi ha poco da perdere e il fatto di non “scontrarsi” vis-a-vis con l’avversario non gli sottrae nulla. D’altra parte, invece, il candidato bisognoso di rimontare può sfruttare il dibattito per mettere in difficoltà l’altro e magari rosicchiargli qualche “punticino”. È una regola base della campagna elettorale nell’era mediatica, sin dai tempi dello storico dibattito Kennedy – Nixon. Già due anni fa era stato difficile ottenere uno scontro a viso a aperto tra i due candidati (allora erano solo due) Romano Prodi e Silvio Berlusconi, con il primo avanti nei sondaggi ed il secondo a spingere perché il dibattito si facesse, per il bene della democrazia. Alla fine Prodi accettò e quasi quasi Berlusconi gli giocava uno scherzo sinistro. Certo, il dibattito non fu avvincente come quelli americani, ma le regole fissate di neutralità (seppur il moderatore fosse un certo Clemente Mimun, non certo un “prodiano”) imposero nessuno “scontro diretto” tra i due ma solo una sorta di comizio parallelo. Quest’anno non ci sarà neanche quello e non solo per la ritrosia con cui Berlusconi ha accolto gli appelli di Veltroni, non solo per il fatto che due anni dopo il candidato premier del PdL abbia smesso di considerare il dibattito tv come un segno di democrazia. Quest’anno è la Commissione Parlamentare di Vigilanza ad aver posto il veto sul dibattito. Quest’anno va di moda in Italia il “dibattito multiplo”, ovvero come sfruttare la presenza di altri candidati premier (ma, al solito, se la contenderanno solo in due) per eludere il dibattito uno contro uno. È stata la Commissione di Vigilanza a deciderlo, presieduta da Mario Landolfi, il quale ha presentato una bozza, alcuni giorni fa, in cui sottolineava come gli unici strumenti a disposizione dei candidati a Palazzo Chigi fossero tribune elettorali, interviste dei rappresentanti di liste e conferenze stampa dei candidati premier. Il dibattito c’è ma sono stati posti dei paletti. Il fatto che esistano (sulla carta…) 8 candidati renderebbe difficoltoso uno scontro incrociato tra tutti, poiché servirebbero 45 differenti ed inutili dibattiti. Niente Berlusconi – Veltroni, quindi, ma un dibattito multiplo in cui tutti i candidati si scontreranno vicendevolmente, creando presumibilmente un’operazione a somma zero. Che di certo aiuterebbe il più avanti nei sondaggi. Di seguito le direttive che regoleranno questo “dibattito multiplo”, più in stile talk show che tribuna elettorale:
- «Tribune televisive e radiofoniche, ciascuna di durata non superiore ai quarantacinque minuti, organizzata con la formula del confronto tra un numero di partecipanti compreso fra tre e sei, e di norma, se possibile, fra quattro partecipanti».
- «conferenza-stampa ha la durata di sessanta minuti ed è trasmessa tra le ore 21 e le ore 22,30 su RAIUNO, a ciascuna di esse prende parte un numero uguale di giornalisti, entro il massimo di cinque».
- «Negli ultimi dieci giorni precedenti il voto la RAI organizza e trasmette su Rai Uno, tra le 21 e le 22,30, una trasmissione, in diretta, di confronto fra i candidati premier, della durata di novanta minuti, in condizioni di parità di tempo, di parola e di trattamento, avendo cura di evitare la sovrapposizione oraria con altri programmi a contenuto informativo». (G.M. per NL)