L’annuale rapporto “Economia della musica italiana”, stilato dal Centro Ask dell’università Bocconi di Milano sulla situazione del mercato musicale in Italia lascia sorpresi in molti, da operatori del settore a semplici appassionati. Già, perché, in contrasto con il lento ma inesorabile tramonto dell’industria della discografia (così come sta avvenendo in tutto il mondo), l’intero settore della musica fa registrare un buon aumento del giro d’affari, stimato in 3,1 miliardi di euro. Una cifra molto significativa, superiore a quella stimata nell’anno 2004 del 3,6%, contro qualunque apocalittica previsione. Ma una ragione c’è, e non va ricercata in un improvviso reinnamoramento degli italiani nei confronti dei cd “originali”, quelli comprati nei negozi di dischi, tanto per intenderci, con tanto di etichetta della major di turno; ma è la musica sul web, quella “crudele” invenzione che ha ridotto sul lastrico i discografici e fatto andare su tutte le furie gli artisti (non tutti) che si vedono defraudati dei loro diritti (d’autore). Sì, perché il mercato della musica su internet non è soltanto quello dei file “pirata” che utenti poco ligi alla legge si scambiano per impoverire i “grandi ricchi” della musica, è anche quello della musica “scaricata” a pagamento, ma singolarmente, pezzo per pezzo. Questo particolare mercato ha risollevato le sorti dei discografici, anche se il mercato illegale in rete è ancora molto, molto florido. E in alcuni casi va anche appannaggio di alcuni artisti, magari quelli meno noti, che iniziano a farsi conoscere sul web, per poi sbarcare nel mercato vero e proprio. Quindi, risultati alla mano, si nota un calo nei ricavi da dischi venduti, del 4,9%; a fronte di un aumento del 101% del giro d’affari intorno alla musica sui new media. Aumentano anche gli altri fattori del business musicale, dal diritto d’autore riconducibile al consumo intermedio di musica (+20,2%), alla vendita di strumenti musicali (+2,1%), che nel 2005 ha riguardato circa un milione di italiani, a testimonianza della passione che il nostro popolo nutre nei confronti della musica, anche quella “fai da te”. A proposito dei mercati paralleli, il coordinatore della ricerca, Andrea Organini, dice: “Fino a pochi anni fa il sistema musica ruotava intorno alla discografia, che ne determinava gli sviluppi. Oggi, e ancor più in futuro, il music business si presenta come un sistema aperto, dove differenti soggetti sperimentano nuove modalità di sfruttamento economico dei contenuti musicali”. Ed era ora che l’arcaico sistema di diffusione della musica, dai costi alti, e spesso inaccessibili ai più, subisse una sterzata. Perché la musica non piace solo ai ricchi. (G.C. per NL)