“L’emendamento dei relatori sul riordino delle frequenze televisive per il refarming della banda 700 MHz appare orientato nella direzione della difesa della piattaforma televisiva digitale terrestre e delle imprese del settore. Il confronto al Tavolo Tv 4.0 aveva fatto emergere nettamente l’esigenza di modifica delle previsioni in materia fatte con la legge di bilancio dello scorso anno. E’ il primo passo indispensabile per un punto di equilibrio”.
Il comunicato di cui sopra, diffuso all’indomani della presentazione dell’emendamento del governo alla legge di Bilancio 2019 che:
1) abroga (come da noi, peraltro, ampiamente previsto) la riserva di 1/3 delle frequenze televisive a favore delle tv locali, destinando alle nazionali ulteriori due canali sottraendoli dai quattro inizialmente previste per le prime;
2) sopprime il vincolo di must carry a carico della RAI (altra novità invero attesa), obbligata inizialmente a destinare l’80% della capacità dei suoi mux ospitanti i programmi regionali (cioè RAI Tre) a fornitori di servizi di media audiovisivi locali;
3) assegna al comparto locale, nella concretezza, un solo canale UHF in grado di illuminare il 90% dell’area tecnica e non meglio precisate altre risorse subregionali che con ogni probabilità non potranno essere più di due;
non viene da Mediaset, La 7, RAI o altri grandi player nazionali.
Esso promana, invece, da Confindustria Radio Tv, che, oltre ad operatori nazionali, associa un numero rilevante di televisioni locali.
Se, pertanto, un soggetto portatore di interessi diffusi tra gli operatori locali si trova ad esprimere soddisfazione per un emendamento che, così formulato, impedirà con assoluta certezza la tenuta dell’attuale comparto televisivo non nazionale, ciò merita sicuramente profonde riflessioni.
Soprattutto in ordine alla misura della considerazione che le tv locali ormai hanno non solo da parte della politica, del regolatore e del legislatore, ma anche di loro stesse.