(Punto Informatico) – Roma – Vendeva musica online, riteneva di aver assolto ai propri doveri, è stato condannato in appello: aveva ottenuto la licenza dalla SIAE, si era garantito i diritti di utilizzo commerciale dai detentori dei diritti d’autore. Ma non aveva preso in considerazione i detentori dei diritti connessi.
La condanna in appello è stata emessa dal Tribunale di Torino: C.T., di Asti, gestiva uno store musicale online, offriva in vendita ai netizen oltre 12mila tracce da scaricare a pagamento. C.T. si era cautelato dalle rivendicazioni della SIAE, aveva chiesto e ottenuto la dibattuta licenza multimediale che, dal 1998, SIAE ha adottato per schiudersi alle potenzialità offerte dalla rete. C.T. aveva così ottenuto il diritto di “riprodurre le opere tutelate, tramite caricamento (uploading) dei file all’interno della sua banca dati” e di “mettere a disposizione del pubblico le stesse opere, che possono essere scaricate sulla memoria dei computer”.
Il gestore dello store riteneva di aver assolto ai propri doveri. Poi, la denuncia dell’industria fonografica. La difesa di C.T. ha convinto il tribunale in primo grado di giudizio: il magistrato ha scagionato il gestore del sito, ha stabilito che in quella fattispecie C.T. avrebbe potuto vendere musica con la sola licenza multimediale ottenuta corrispondendo il dovuto alla SIAE e agli autori.
La normativa e la giurisprudenza in materia di diritto d’autore declinate sulle nuove tecnologie, considerate spesso fumose e contraddittorie, sono state però interpretate in maniera opposta dal Tribunale di Torino in secondo grado di giudizio. La licenza multimediale rilasciata dalla SIAE consente di retribuire gli autori dei brani musicali venduti da C.T., ma non consente di corrispondere il dovuto ai titolari dei diritti connessi, ai produttori fonografici che detengono i diritti sulla fissazione dell’opera. C.T. si sarebbe dovuto rivolgere a SCF, avrebbe dovuto richiedere la licenza con cui ricompensare l’industria fonografica. Lo sfruttamento dei diritti connessi attraverso le “nuove tecnologie” che, spiega SCF, “rappresentano modalità nuove ed affascinanti di fruizione della musica”, non può avvenire senza ricompensare anche i detentori dei diritti connessi.
FIMI, in un comunicato, conferma: “La licenza ottenuta da SIAE poteva autorizzare solo l’acquisizione dei diritti d’autore e non dei diritti connessi delle case discografiche, senza i quali, l’attività posta in essere dal sito rimaneva penalmente sanzionabile”. C.T. è stato condannato a 3 mesi di carcere, una pena poi sospesa, a rifondere FIMI per le spese legali, a pagare un’ammenda pari a 270 euro.
Gaia Bottà