Sembrava fatta: Paolo Romani stava per diventare il nuovo ministro allo Sviluppo Economico, andando a sostituire il Presidente del Consiglio Berlusconi, che poco meno di tre mesi fa aveva preso il posto, ad interim, del dimissionario Claudio Scajola. Poi, invece, il blocco.
Inizialmente era stato il presidente Napolitano, secondo le indiscrezioni del Corriere della Sera, a porre il veto. La vicinanza di Romani al presidente Berlusconi e il suo passato da editore dell’emittenza privata nazionale (prima) e locale (dopo) avrebbero costituito l’ennesimo caso di conflitto d’interessi per il premier e il suo governo. In particolare, Napolitano avrebbe preteso la firma di Romani sulla dichiarazione all’Antitrust sul conflitto d’interessi, prima della sua investitura come ministro. La preoccupazione principale del Capo dello Stato risiederebbe nel (relativamente recente) passato dell’attuale viceministro, troppo intrecciato con i business industriali del premier. Come titolare del dicastero, infatti, Romani, con un’Italia alle prese con la crisi economica e con mille e uno problemi strutturali, dovrebbe occuparsi delle sorti della Fiat, della Telecom e, soprattutto, della spinosa questione delle frequenze digitali (con, alle porte, addirittura una spinosa gara per l’assegnazione del dividendo a cui parteciperanno anche Sky e Mediaset). Questione che, però ed invero, lo riguarda già in prima persona, dal momento che ad oggi ricopre il ruolo di viceministro con delega alle Comunicazioni. Come dire: cambia la forma ma non la sostanza dell’addebitato conflitto d’interessi. La decisione, ad ogni modo, sarebbe potuta o dovuta passare anche dal consiglio dei ministri di lunedì mattina, ma c’è stata un’altra fumata nera: la questione pare infatti più complicata di quanto appaia. Tremonti, intervistato sull’argomento, ha preferito glissare: “Non era all’ordine del giorno”, ha detto. Se ne sarebbe dovuto parlare, a questo punto, nel consiglio dei ministri di questa mattina, ma anche oggi l’argomento non era all’ordine del giorno. Mistero al Ministero… A complicare ulteriormente la questione, sempre secondo il Corriere – che cavalca il malcontento presente nella maggioranza sponda premier – ci sarebbe il recente strappo dei finiani. La nomina di Romani, infatti, sarebbe fortemente voluta da Berlusconi e dai suoi che, in altri tempi, non avrebbero avuto alcun problema ad ottenerla. Nel nuovo scenario prefiguratosi, però, il ruolo del presidente della Camera e dei suoi adepti diventa quantomai fondamentale. Paolo Romani ministro o no dello Sviluppo Economico rappresenta, a questo punto, il primo vero esame per la neonata maggioranza di governo, più instabile della precedente e preda di un equilibrio sempre più difficile da ottenere: il parere contrario dei finiani ha, oggi, un’importanza infinitamente maggiore. Quanto, realmente, essi saranno capaci di influenzare le mosse della maggioranza? Quanto pesano e peseranno i loro no e a che prezzo saranno acquisiti i loro sì? Inizieremo a scoprirlo proprio al termine di questa querelle, perché la nomina di Romani è diventato un caso politico delicatissimo, al di là dei pareri di Napolitano (cui pure spetta la nomina dei ministri su proposta del presidente del Consiglio). C’è anche chi ha ipotizzato, dopo che Berlusconi aveva contattato anche la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ottenendo un cordiale quanto inaspettato “no, grazie”, che in virtù dello “strappo”, il premier abbia tentato di invogliare i figliol prodighi dell’Udc a tornare all’ovile, offrendo loro la poltrona. Al momento, però, la questione resta congelata. La Lega aveva spinto per Galan, in modo da liberare la poltrona dell’Agricoltura, da restituire a un leghista dopo il passaggio di Zaia sulla poltrona della Regione Veneto, mentre gli assi nella manica del governo sarebbero Bonaiuti, Lupi e Vegas. Un po’ poco, francamente, Intanto, secondo quanto riportato dall’agenzia Asca, Romani avrebbe sostenuto d’essere serenissimo circa la questione. “Mi piace questo lavoro – ha detto – che penso di fare bene”. (L.B. per NL)