Domenica scorsa gli stadi italiani hanno fatto registrare il record negativo d’affluenza, con una media di circa 18 mila spettatori per stadio. Non si tratta certo d’una notizia, è semplicemente il picco più basso d’un trend che negli ultimi anni non ha fatto altro che consolidarsi di partita in partita, di campionato in campionato. A parziale giustificazione del tonfo della scorsa domenica (23 dicembre, ndr) c’è la vicinanza del Natale, gli italiani partiti per le ferie, il panettone sullo stomaco. Poi vi è l’ormai trito e ritrito tantra della pericolosità degli ultras, che stanno allontanando le famiglie dai campi da gioco per spingerle sempre più verso i salotti, verso la partita gustata comodamente in poltrona, col telecomando in mano. Questo insieme di dati, ormai assodati, vanno ad inserirsi in una cornice che vede l’Italia in completa controtendenza nei confronti degli altri Paesi europei del grande calcio, Spagna e Inghilterra su tutti. Lì il pubblico degli stadi aumenta ogni anno di più, mantiene la propria eterogeneità (a fianco dello sfegatato alticcio e a petto nudo, in Inghilterra, vi si può trovare benissimo un bambino con il papà, senza che la vicinanza li molesti vicendevolmente). A fronte di un costo dei biglietti che, specie per i sudditi di Sua Maestà, è quasi sempre decisamente maggiore rispetto che da noi.
In tutto questo scenario che i più apocalittici sostengono stia uccidendo la passione calcistica in Italia, le televisioni brindano ai propri affari d’oro e, come ovvio, non fanno altro che moltiplicare e diversificare la propria offerta, approfittando della situazione. Per comprendere a fondo la controtendenza che investe il mondo del pallone italiano, basta riflettere su alcuni dati. In Spagna ed Inghilterra le squadre più blasonate e rappresentative, che contano il maggior numero di tifosi, ripartiscono in questo modo gli introiti tra diritti tv, biglietti venduti e sponsorizzazioni: Manchester United 36%, 36%, 28%; Chelsea 29%, 37%, 24%; Real Madrid 38%, 26%, 36% e Barcellona 39%, 34% e 27%. Osservando l’Italia, invece, si vede che i tre grandi club (Milan, Inter, Juventus) incassano oltre il 60% dei propri ricavi dai diritti televisivi (lasciando le briciole ai club minori…), a fronte di una media del 20-30% derivanti dagli sponsor ed un desolante 10-20% dai botteghini (dove la Juventus raggiunge a malapena la doppia cifra).
In tutto questo, il dato di domenica scorsa (che va a completare la corsa verso il basso, dalla media di 34.205 spettatori per ogni stadio della stagione 1991-92 ai 18.756 medi della stagione passata, la più nera dal punto di vista introiti, dopo lo scandalo di Calciopoli) va a sposarsi con un altro dato altrettanto importante: il derby della Madunina, giocatosi il pomeriggio di domenica, è stata la partita più vista della storia della pay tv per quanto riguarda un match giocato alle 15. Una media di 1.740.205 italiani si sono piazzati, pranzo prenatalizio ancora sullo stomaco, davanti ai teleschermi per vedere le due milanesi scontrarsi, con uno share del 10,59% e ben 2.844.175 contatti unici. Un dato clamoroso che, nello scenario appena descritto, assume una valenza doppia. La crisi di pubblico (non nel caso di Inter-Milan, però, dove gli spettatori erano 80 mila, in un San Siro esaurito, nonostante lo sciopero del tifo) è un problema che, oltre che all’offerta televisiva, però, è legato a doppio filo anche alla fatiscenza delle strutture degli stadi che, paragonati a quelli stranieri (non solo inglesi e spagnoli), danno un’idea del perché l’italiano vi preferisce il comodo divano.
E’ altresì paradigmatico come, però, nel nostro Paese, l’offerta televisiva per vedere il calcio sia un passo avanti rispetto al resto d’Europa. Pay tv, digitale terrestre (che in occasione del Mondiale per club vinto dal Milan ha registrato il record di ricariche), tv in chiaro. Ma anche videofonini e Iptv, contribuiscono a spostare il pallone negli stadi virtuali delle nostre case, a dipingere uno spettacolo rendendolo ad arte, pronto da consumare per il telespettatore pagante. C’è un ritornello in Italia che sostiene che la tv stia fagocitando la tradizione del pallone, che stia uccidendo il tifo da stadio, lasciandolo nelle mani dei teppisti che dalle curve si spostano a macchia d’olio monopolizzando gli impianti sportivi. Un’altra faccia di questa medaglia è, invece, l’interpretazione secondo cui il giro d’affari che ruota attorno al football in tv non faccia altro che cavalcare quest’onda favorevole, dovuta ad altre ragioni. Qualunque sia l’uovo e qualunque sia la gallina, lo spettacolo del calcio in Italia sta mutando, si sta involvendo. Ma la passione, quella no. Gli italiani amano ancora il pallone e, tv o stadio, sciarpa al collo o telecomando in mano, continuano a seguire i propri club, infettati dal germe del tifo. The show must go on. (Giuseppe Colucci per NL)