La Corte di Giustizia delle Comunità Europee è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 marzo 2006, 2006/24/CE. Detta direttiva riguardava la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e modificava il provvedimento 2002/58/CE (GU L 105, pag. 54).
L’Irlanda, che aveva proposto il ricorso, sosteneva che la direttiva dovesse essere annullato poichè adottata sulla base del fondamento normativo non corretto.
Il ricorso è stato respinto, ma estremamente interessante è il ragionamento svolto dalla Corte di Giustizia.
La direttiva era stata emanata sulla base dell’articolo 95 del Trattato CE che riguarda l’adozione di misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.
La Corte di Giustizia ha rilevato come la scelta di ricorrere all’articolo 95 può avvenire "in caso di divergenze tra le normative nazionali allorché siffatte divergenze sono tali da ostacolare le libertà fondamentali o da causare distorsioni della concorrenza, e quindi da incidere direttamente sul funzionamento del mercato interno". Qualora poi il ricorso all’articolo 95 sia possibile "al fine di prevenire futuri ostacoli agli scambi dovuti allo sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali, l’insorgere di tali ostacoli deve apparire probabile e la misura di cui trattasi deve avere ad oggetto la loro prevenzione".
Secondo la Corte la situazione che ha condotto all’adozione della direttiva 2006/24 soddisfa i presupposti descritti.
La direttiva è stata una conseguenza del fatto che in seguito agli attentati terroristici, tra cui l’11 settembre 2001 a News York, vari Stati Membri consapevoli del fatto che i dati relativi alle comunicazioni elettroniche sono un mezzo efficace di accertamento e repressione dei reati, ivi compreso il terrorismo, hanno adottato misure al fine di imporre ai fornitori di servizi obblighi relativi alla conservazione di tali dati. Tali misure, oltre a costituire implicazioni economiche rilevati per i fornitori di servizi, presentavano divergenze importanti, in particolare quanto alla natura dei dati conservati ed alla durata di conservazione di questi ultimi.
Peraltro, gli Stati membri che non si erano ancora muniti di una normativa in materia di conservazione dei dati avrebbero adottato norme in materia che avrebbero potuto accentuare ulteriormente le differenze tra le diverse misure nazionali in essere.
Pertanto, da tali elementi, secondo la Corte: "le divergenze tra le varie normative nazionali, adottate in materia di conservazione dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche, potevano avere un’incidenza diretta sul funzionamento del mercato interno e che era prevedibile che tale incidenza tendesse ad aggravarsi." Del tutto giustificato, quindi secondo la Corte l’intervento a norma dell’articolo 95 TCE.
Non solo, l’esame dei contenuti della direttiva, da parte della Corte di Giustizia, hanno portato a constatare che la stessa si limita a disciplinare le attività dei fornitori di servizi e non disciplina né l’accesso ai dati né il loro uso da parte delle autorità di polizia o giudiziarie degli Stati membri.
Più precisamente le disposizioni della direttiva 2006/24 sono dirette al ravvicinamento delle legislazioni nazionali concernenti l’obbligo di conservazione dei dati (art. 3), le categorie di dati da conservare (art. 5), i periodi di conservazione dei dati (art. 6), la protezione e la sicurezza dei dati (art. 7) nonché le condizioni di immagazzinamento di questi ultimi (art. 8).
Le misure della direttiva, viceversa non comportano un intervento repressivo delle autorità degli Stati membri. Come emerge segnatamente dall’art. 3 di tale direttiva, è previsto che i fornitori di servizi debbano conservare solo i dati generati o trattati nel quadro della fornitura dei servizi di comunicazione interessati. Tali dati sono unicamente quelli strettamente collegati all’esercizio dell’attività commerciale dei fornitori stessi.
La Corte ha ritenuto, quindi, che la direttiva sul traffico telefonico e telematico non intendeva armonizzare le disposizioni sull’accesso ai dati e le modalità per il loro uso da parte delle autorità di polizia e giudiziarie, come invece sostenuto dalla ricorrente. Tali disposizioni restano materia di cooperazione giudiziaria e di polizia ai sensi del Trattato Ue.
Pertanto, anche alla luce del contenuto materiale della direttiva 2006/24 la Corte ha concluso che la stessa riguarda in maniera prevalente il funzionamento del mercato interno e che porre a fondamento della sua emanazione l’articolo 95 del Trattato CE, fosse corretto. (Alessandra Delli Ponti per NL)