Settimana all’insegna della radio, quella appena trascorsa. Il vecchio medium, anche in periodi di crisi, attira interessi ed investitori.
Così, in un momento in cui i cordoni delle borse si stringono (ma forse proprio per quello, visto che questo è il momento di fare affari…) alcuni player dotati, direttamente o indirettamente, di sufficienti risorse finanziarie, stanno pensando di fare shopping per aumentare la propria dote in un mercato pubblicitario che premia sempre di più le economie di scala. L’interesse di RDS e di Mondadori di portarsi a casa almeno un’altra radio ciascuna, per rafforzare gli ascolti, sviluppare sinergie e competere adeguatamente con gruppi che schierano tre emittenti alla volta, dimostra che quel cambiamento di rotta che da alcuni anni preannunciavamo si sta realizzando. Se fino ad oggi (o meglio, sino ad ieri) le radio valevano per le frequenze che avevano in pancia, è bene prendere atto che ora il valore economico di emittenti radio si calcola esattamente come accade per la quasi totalità degli altri settori. Cioè attraverso la redditività. La matura radio è ancora (e lo sarà per molto, molto tempo) una straordinaria opportunità di business: costa poco (farla) e può rendere molto. Le sue potenzialità di crescita, nella fruizione del prodotto e nella veicolazione della pubblicità, soprattutto in conseguenza della sua duttilità nel farsi trasportare sulla totalità delle piattaforme digitali (al contrario della tv), sono armi seduttive potentissime verso gli investitori esteri. Che attendono solo il raggiungimento di una maturità e di una stabilità politica nel nostro Paese per farsi avanti in maniera (più) evidente.