Lo spunto è stato offerto dall’ultima puntata di Matrix, dedicata alla memoria del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sul quale (guarda caso) Mediaset ha in cantiere una nuova fiction da sfornare a breve. Ospiti della trasmissione sono la conduttrice Rita e Nando, figli di questo martire dei nostri tempi. Rita, per nulla intimorita dal vasto uditorio della trasmissione (d’altronde, è il suo mestiere), lancia un’accusa durissima nei confronti di Ciriaco De Mita, reo, a suo dire, d’essere stato tra gli artefici della “terra bruciata” lasciata attorno al generale prima che fosse assassinato. Ecco, però, che Enrico Mentana, conduttore della trasmissione, cambia repentinamente discorso, con quell’arte dialettica che contraddistingue i grandi giornalisti. Il punto è questo. Senza voler entrare nel merito dei fatti e dei personaggi coinvolti, la domanda che viene spontanea a qualunque amante della libertà d’espressione è: per essere grandi giornalisti basta avere un’ottima capacità dialettica e magari anche una penna che sappia scrivere bene o serve anche qualcosa in più, magari sottraendo un po’ d’arte scrittoria ed addizionando un pizzico (magari anche di più…) d’avversione ai poteri corrotti od oscuri d’una società? E’ indubbio che l’etica professionale indirizzi verso questa seconda opzione, ed è quello che ha sostenuto in una coraggiosissima lettera aperta, inviata al direttore di ItaliaOggi, il giornalista Piero Laporta, collaboratore di “IO”, nella quale accusa certo giornalismo d’essere alla base (in concorso coi poteri forti, appunto) della deriva dello Stato italiano, della sua classe politica e industriale, del suo essere soggetto alla mano trasparente della criminalità organizzata. Laporta fa nomi e cognomi, accusa, come un giornalista di polso, lasciato libero d’esercitare il suo mestiere, dovrebbe fare. E come, purtroppo, in molti non fanno. L’excursus del giornalista di “IO”, per un giorno editorialista di ItaliaOggi, parte dai tempi dell’assassinio Moro, sino ad arrivare allo scandalo di “Affittopoli”, o “Mutuopoli”, ultimo degli infiniti “-opoli” dei quali il popolo italiano è oramai stufo. Il giornalismo inviso al potere è quello che, secondo quanto sostiene Laporta, ha fatto sì che eroi come Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fossero colpevolmente lasciati isolati nelle loro battaglie, senza che l’opinione pubblica (soggetta, ieri ancor più che oggi, alla mediazione giornalistica) fosse avvisata, allertata sui reali rischi che correvano e su come lo Stato lasciasse che tutto ciò avvenisse. “Il giornalismo italiano deve smetterla di scoprire la verità a venticinque anni di distanza dai fatti” – è l’appello finale di Laporta (il cui “j’accuse” consigliamo di leggere ai nostri lettori, sul numero di ItaliaOggi di mercoledì 5 settembre) – “per poi impallidire e cambiare argomento. Occorre, così come occorrerà, una penna intinta nel coraggio e nella verità, poi nell’inchiostro”. (Giuseppe Colucci per NL)