Alzi la mano chi non ha sentito dire dagli editori uscenti, quelli che hanno ceduto baracca e burattini al migliore offerente e si sono dedicati ad altre faccende (oppure alle stesse per conto di terzi), che una delle motivazioni della quasi sempre amara decisione è stata l’eccessiva burocratizzazione del comparto. “Non ne potevo più di ispettorati territoriali, direzioni generali, autorità, rivendicatori di diritti d’autore e diritti connessi, che mi costringevano a vivere più in mezzo alla carta che tra dischi e mixer”, è il ritornello frequente tra gli imprenditori radiofonici che hanno attaccano cuffia e microfono al chiodo. Ed è vero: da un regime di anarchia ante 1990 si è passati ad una progressiva iper-regolamentazione con una promulgazione normativa primaria incessante, con cadenza almeno annuale, senza considerare la legislazione secondaria (regolamenti, decreti ministeriali, delibere dell’Agcom, ecc.). Praticamente, per un editore, è impossibile tenere sotto controllo in maniera autonoma le numerosissime scadenze che la regolamentazione del settore prevede, pena l’irrogazione di sanzioni rilevanti, sia sotto il profilo pecuniario che amministrativo, finanche giungendo al penale. Una situazione che esige un’organizzazione precipua, con la destinazione di risorse umane per la sorveglianza e la gestione delle incombenze, oppure la delegazione a strutture esterne per l’assistenza continua e qualificata. Una pressione burocratica che, alla fine, poteva e può essere retta solo da soggetti organizzati e patrimonialmente dimensionati per sopportare l’onere economico derivante. Eppure, quello che è stato fino a poco tempo fa è nulla rispetto a quello che sta accadendo nelle regioni del nord Italia e presumibilmente si estenderà presto anche al centro ed al sud. Gli enti locali si sono svegliati da un certo torpore ed hanno scoperto che, oltre agli impianti della telefonia mobile, esistono anche quelli radiotelevisivi. E allora, dagli all’untore di elettrosmog: istanze a non finire per conseguire autorizzazioni anche alle più semplici modifiche (in Val d’Aosta si esige la predisposizione di piani di installazione con planimetrie ed estratti catastali anche per la collocazione di una parabola satellitare di ricezione – sic! – pena la disattivazione dell’impianto di diffusione e l’irrogazione di pesanti sanzioni), dinieghi preventivi molto spesso infondati in fatto ed in diritto (che impongono costosi ricorsi alla giustizia amministrativa), confusione di competenze tra gli enti interessati, dipartimenti ARPA con comportamenti tra loro non raramente discordanti, usi e consuetudini stravaganti. Avete presente la deleteria situazione degli Ispettorati territoriali caratterizzati da comportamenti tra di loro contraddittori? Se interagite con un unico organo periferico del Ministero dello Sviluppo Economico – Comunicazioni, forse la fattispecie vi è oscura, perché non avete termini di paragone. Ma se avete la sventura di lavorare in un ufficio tecnico di una rete nazionale, siete ben consci della pazzia, tutta italiana, che impone, spesso, di redigere istanze che, pur fondate su una norma nazionale, devono essere carrozzate sulla base delle indicazioni – spesso irragionevoli o isteriche – del funzionario di turno che pretende di interpretare a suo modo il precetto legislativo (una su tutte: fino a pochissimi anni fa, in un ispettorato del nord, c’era un funzionario che prima di rilasciare l’autorizzazione all’esercizio di un impianto di collegamento chiedeva una dichiarazione che l’interconnessione non potesse avvenire con cavo telefonico della…SIP!). Una situazione allucinante, che, tuttavia, è nulla rispetto alla moltiplicazione del fenomeno all’ennesima potenza, attraverso l’interazione con gli enti locali. Ne sanno qualcosa gli operatori del nord Italia, che tra procure della Repubblica che indagano su presunti o reali fenomeni di inquinamento elettromagnetico, disponendo sequestri preventivi dagli effetti deleteri per le economie editoriali, dipartimenti ARPA dai comportamenti eterogenei ed enti locali dalle pretese bizzarre, hanno dovuto potenziare enormemente gli organici degli uffici tecnici, oppure accedere pesantemente all’outsourcing per gestire la problematica. Una situazione che, lungi dal trovare una rapida soluzione, è destinata ad acuirsi velocemente.