Bene, la settimana è iniziata con un certo rinvigorimento della protesta delle radio locali contro la decisione governativa di sopprimere le provvidenze dell’editoria che contribuivano a tenere in piedi quel poco di informazione libera ed indipendente che sopravvive nell’etere italiano.
Avevamo, infatti, registrato nei giorni scorsi un pericoloso affievolimento del grido d’allarme, tanto che, per strizzare quel che le emittenti locali dovrebbero continuare a dimostrare di avere in questo frangente, avevamo pubblicato un editoriale dai toni abbastanza forti (almeno per il nostro standard). Così, questa mattina, abbiamo verificato che, per fortuna, le stazioni radiofoniche marchigiane, con a capo il gruppo editoriale di Radio Arancia, erano ben sul pezzo, tanto che se non fosse per le dormienti tv locali (che purtroppo non stanno dimostrando di essere al livello delle radio in questa emergenza) potremmo dire di essere (quasi) tornati alle grida dell’inizio della scorsa settimana, che avevano colto di sorpresa un governo convinto ormai di poter far quel che vuole, quando vuole e come vuole. Per non tradire il compito autoaffidatoci di aggiornatori più assidui della protesta delle radiotelevisioni locali che, ormai è chiaro, abbiamo fatto nostra, stavamo pertanto per rimetterci alla tastiera per ricordare quanto sia importante questa azione collettiva di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per la difesa di quell’importante baluardo della libertà d’informazione che è costituito dalle emittenti locali. Sennonché, nell’intanto, abbiamo scoperto che quel che avremmo voluto scrivere era già stato affidato al web dall’amico Andrea Lawendel, deus ex machina del frequentatissimo Radio Passioni, vergognosamente da noi saccheggiato anche più volte al giorno. Con piacere ci appropriamo quindi, ancora una volta, del suo pensiero per offrire un contributo in più per la tutela della libertà di poter dire quel che è giusto e necessario che si sappia senza che chi si sente al di sopra di tutto e di tutti lo decida per noi.
"Non è la prima volta che mi chiedo se in Italia la libertà di espressione sia una realtà effettiva, sancita, incoraggiata e tutelata, o una mera convenzione. Qualcosa di scolpito nella pietra di una tavola o tracciato sulla sabbia, frettolosamente e perché si. "deve fare". Penso che debba chiederselo chiunque scriva, più o meno meritatamente, su un grande giornale, visto che è in tale contesto che è doveroso verificare la presenza di eventuali condizionamenti (purtroppo ci sono). Ma in questi giorni il dubbio si è fatto particolarmente angoscioso. Tanto da farmi chiedere se una volta postami la domanda ho davvero voglia di conoscere la risposta. Che in Italia, prima di Internet, l’accessibilità ai mezzi comunicazione fosse un po’ meno incondizionata che altrove, lo si sospetta da tempo. I media a controllo pubblico garantiscono solo una equa visibilità dei controllori, a scapito di tutto il resto. Potrebbe bastare se i controllori rappresentassero davvero gli elettori, ma con questa legge elettorale non basta. I media non pubblici, commerciali o no profit, sono manchevoli: i primi sono affetti da troppe impurità politiche, i secondi, quando non sono semplicemente negati, sono troppo fievoli. Il piccolo universo delle radiotelevisioni minori si sono improvvisamente trovati in una situazione insostenibile quando il governo ha approvato una versione del decreto delle delle mille proroghe (che bizantinismo anacrologico) che sospende l’erogazione dei rimborsi per spese elettriche e di agenzia stampa alle emittenti che non siano affiliate a un partito o a una corrente politica. Per certi versi è una decisione che non sorprende, provenendo da un governo ormai apertamente autocratico. Ma sono convinto che si sia trattato della ennesima, banale dimostrazione della totale incapacità di una parte consistente di chi è stato portato in Parlamento (comunque la pensiamo o abbiamo votato, non siamo noi ad aver scelto quelle persone, noi ci siamo limitati a fare un segno su un vuoto simbolo, esattamente come si faceva nei paesi del blocco sovietico il cui destino non democratico ci era stato, apparentemente, negato). Le emittenti che hanno ricevuto questo brutto schiaffo autoritario da un governo che interpreta il concetto di semplificazione non riducendo e razionalizzando leggi discusse in aula ma incrementando a dismisura il numero di decreti (traduzione: diktat), stanno facendo sentire la loro protesta, per esempio con spot come quello che potete ascoltare qui sotto, messo gratuitamente a disposizione dagli ormai fraterni amici di Newslinet. Seguite questo link per leggere invece il comunicato di Radio Popolare di Milano. I sostegni economici tolti si possono reinstaurare e il governo, persino questo governo, finirà per provvedere, se non altro per cancellare una delle tante figuracce inanellate in questi mesi. Non sarà altrettanto rimediabile la vergogna della sospensione di programmi radiotelevisivi con "contenuti politici" alla vigilia di elezioni, oltretutto amministrative e in presenza di scandali macroscopici come l’abuso emergentistico perpetrato dagli inquisiti della protezione civile. La sospensione di quelle trasmissioni puzza manifestamente di mordacchia, è pura e semplice censura preventiva". (segue su RP)