da Franco Abruzzo.it
Information Safety and Freedom
newsletter n. 177/anno 2°, 5/08.
Bagdad, 23 maggio 2008. Dopo l’annuncio dato ieri da una ong irachena della morte di un fotoreporter di una tv locale ucciso ‘da un cecchino Usa’, a Baghdad, nella città di Baquba è stato trovato il cadavere di un altro giornalista rapito; sale a 259 il numero dei reporter morti in Iraq dalla caduta del regime di Saddam Hussein nell’aprile 2003. E’ quanto riferisce l’agenzia stampa irachena Aswataliraq. Un fonte della polizia della provincia di Dyala ha detto all’agenzia irachena che nel quartiere al Tahrir nel centro di Baquba “una pattuglia della polizia ha trovato in una fossa comune il cadavere del giornalista Haider Hussein, 36 anni” che lavorava come corrispondente del quotidiano indipendente ‘al Sharq’. La stessa fonte ha fatto sapere che “la vittima era stata rapita da un gruppo di uomini armati cinque giorni fa nella frazione di Bahraz”, cinque chilometri a sud del capoluogo di Dyala, Baquba. La stessa agenzia citando un comunicato emesso oggi dall’Associazione per la Difesa della Libertà della Stampa (Adls) ha riferito che “Wessam Ali Awdat, 32 anni, fotoreporter del canale satellitare Afaq è rimasto ucciso dal fuoco di un cecchino Usa mentre stava tornando a casa sua nella zona di al Ubaidi” a Baghdad. L’Adls ha assicurato di avere appreso la notizia dal capo redattore della stessa tv Afaq, Kazaal Ghazi. Contattate da Aswataliraq, le forze Usa non hanno rilasciato commenti. (Fonte: AP Com)
Pakistan: giornalista ucciso, il quarto nel Paese dall’inizio dell’anno
23.05.2008 – Un giornalista pachistano è stato ucciso nel Bajaur al confine con l’Afghanistan, dove operano gruppi collegati ad Al Qaida. Lo hanno detto rappresentanti della tv privata per la quale lavorava. Mohammad Ibrahim, reporter di ‘Express News’, stava rientrando a casa dopo aver intervistato il portavoce dei militanti talebani pachistani. Era in motocicletta e uomini armati lo hanno attaccato appena fuori della città di Khar, sparandogli addosso. Poi hanno portato via la macchina fotografica e la moto. (Fonte: Ansa)
Repubblica Democratica del Congo: l’Onu critica il processo che ha portato a due condanne a morte per l’omicidio di un giornalista
23.05.2008 – Dure critiche sono state espresse da alti esponenti dell’Onu in reazione alla condanna a morte di tre civili per l’omicidio del giornalista di Radio Okapi (patrocinata dall’Onu) Serge Maheshe, ucciso a Bukavu il 13 giugno 2007, a conclusione di un processo in appello segnato da “gravi irregolarità”, secondo una nota ufficiale. “Condanno la pratica di giurisdizioni militari che continuano a perseguire e giudicare civili in violazione delle norme internazionali in materia e della Costituzione congolese” ha detto Louise Arbour, Alto commissario Onu per i diritti umani, che trova “deplorevole l’evidente mancanza di volontà, da parte delle autorità giudiziarie militari, di stabilire la verità su questo omicidio”. A nome della Missione Onu nel paese (Monuc) di cui è il capo, anche Alan Doss – rappresentante speciale del Segretario Generale dell’Onu – ha espresso forti dubbi sull’esito del processo: “La Monuc constata che ci sono tuttora molte questioni in sospeso sull’assassinio di Maheshe e chiede alla giustizia congolese di fare luce su questo crimine”. Nell’agosto 2007 quattro civili furono già condannati in primo grado alla pena capitale da un tribunale militare di Bukavu, sulla base di confessioni dei presunti autori materiali che in seguito ritrattarono, accusando i magistrati di aver fatto pressione. Nessuna indagine indipendente è mai stata realizzata su queste accuse. (Fonte: Agenzia Misna)
Iraq: critiche alla legge sulla protezione dei giornalisti
23.05.2008 – Non piace molto ai giornalisti iracheni la nuova legge sulla loro protezione attualmente in discussione al Parlamento. Le riserve riguardano alcune disposizioni contenute nel provvedimento, che parecchi reputano incostituzionali, e che potrebbero imbavagliare la libertà di stampa nel Paese. “In astratto, approvare una legge che protegga i giornalisti è un punto di partenza eccellente”, dice all’agenzia di stampa irachena indipendente Aswat al Iraq Ismail Zayer, direttore del quotidiano ‘al-Sabah al-Jadid’, aggiungendo che due sono le cose necessarie: proteggere fisicamente gli operatori dell’informazione, ma anche la loro carriera giornalistica. Vale a dire, il diritto a proteggere le proprie fonti, e la garanzia di poter trasmettere al pubblico le informazioni raccolte. Il problema riguarda il requisito secondo cui per fare il giornalista bisognerebbe essere membri del Sindacato dei giornalisti iracheni: l’organo che ha proposto al governo la legge che ora è davanti al Parlamento. “Mettere in atto determinate condizioni, come l’essere iscritti al sindacato dei giornalisti, vìola la Costituzione, che garantisce la libertà di espressione”, dice Zayer. “Siamo d’accordo sul fatto che i giornalisti dovrebbero avere un sindacato”, aggiunge, “ma l’appartenenza a tale sindacato non dovrebbe essere una condizione per poter praticare il giornalismo”. Il dr. Hashim Hassan, consulente dell’Osservatorio sulle libertà giornalistiche, una organizzazione non governativa irachena per la difesa della libertà di stampa fondata nel 2004, concorda. “Il disegno di legge proposto dal sindacato dei giornalisti è stato preparato in fretta”, dice, “non è stato studiato da altre parti, e ha preso in considerazione un solo punto di vista, vale a dire quello del sindacato”. “Per come la vedo io, all’interno degli attuali parametri democratici e costituzionali questo punto di vista è limitato”. Hassan sottolinea che la legge proposta considera il sindacato dei giornalisti come l’unico rappresentante legittimo della categoria, “utilizzando un approccio totalitario, simile a quello di Saddam Hussein”, l’ex presidente iracheno deposto dall’invasione guidata dagli Usa del marzo 2003. Si possono invece formare decine di sindacati e associazioni che si occupano dei giornalisti, osserva, e un giornalista è libero di scegliere quelle di cui vuole far parte. Il punto più importante, dice Hassan, “è che molti famosi giornalisti iracheni non sono membri del sindacato, mentre 7.000 dei 9.000 iscritti al sindacato non sono giornalisti”. Dunque, com’è possibile approvare una legge di questo tipo, chiede? Dal canto suo, Jabbar Tarad al Shimari, presidente del Sindacato dei giornalisti iracheni, ribatte che c’è stato un fraintendimento, e che la legge proposta protegge tutti i giornalisti, a prescindere dal fatto che siano iscritti al sindacato. Il disegno di legge, aggiunge, è stato preparato da giornalisti che hanno esperienza in questioni legali, sulla base di leggi simili – internazionali o di altri Paesi arabi, dopo aver consultato diversi esperti di diritto. Il disegno di legge sulla protezione dei giornalisti era stato inviato al Parlamento nella seconda metà di aprile. Oltre a provvedimenti per proteggere gli operatori dell’informazione, esso contiene disposizioni per il pagamento di pensioni alle famiglie dei giornalisti uccisi, e l’assistenza dello Stato per i giornalisti rimasti feriti mentre facevano il proprio lavoro. (Fonte: Osservatorio Iraq)
Eritrea: inchiesta su Naizghi Kiflu, l’eminenza grigia del dittatore
23.05.2008 – Reporters sans frontières (RSF) ha diffuso un Rapporto che analizza la carriera di Naizghi Kiflu, consigliere del presidente eritreo e attuale ministro degli Affari locali, l’uomo che nel settembre 2001, ha coordinato dal ministero dell’Interno l’ondata di arresti che ha colpito numerosi giornalisti e oppositori del regime. Oggi Naizghi Kiflu vive a Londra, dispone di un permesso di soggiorno illimitato per il Regno Unito e beneficia delle cure di un ospedale pubblico del paese. Eppure, il Rapporto di RSF spiega come, dal 2005, Kiflu sia oggetto di un’inchiesta della polizia britannica, accusato di atti di tortura da una militante per i diritti umani eritrea. Un dossier di alta valenza politica che tuttavia non ha ancora costretto il ministro – che per più di 30 anni è stato considerato « l’uomo dei lavori sporchi» come rivela una fonte a RSF – a comparire davanti ad un tribunale. Dopo aver raccolto le testimonianze inedite delle vittime e degli ex subalterni di Naizghi Kiflu, l’organizzazione spiega come il governo eritreo usi, ancora oggi, la diaspora per mantenere il controllo sulla popolazione rimasta in patria. Il fatto che uno dei suoi « baroni » più eminenti, uomo chiave del sistema repressivo eritreo, viva in Europa e continui le sue attività politiche a Londra, solleva alcune questioni fondamentali sul ruolo delle democrazie occidentali che dovrebbero proteggere i rifugiati ai quali hanno concesso l’asilo politico. Nella conclusione del suo Rapporto, Reporters sans frontières presenta le sue raccomandazioni destinate, in particolare, all’Unione Europea e ai Paesi che ospitano un’importante diaspora eritrea. Alla luce delle informazioni raccolte durante la preparazione di questo Rapporto, RSF sostiene che il minimo che l’UE e le grandi democrazie occidentali possano oggi fare è esigere la liberazione dei prigionieri politici in Eritrea e smettere di concedere il visto ai membri del suo governo, affinché questo Paese – uno dei più chiusi al mondo – possa «nuovamente respirare». E’ possibile scaricare il Rapporto di Reporters sans frontières dal sito: www.rsf.org