Il colosso SVOD (Subscription Video On Demand) guidato da Reed Hastings a mezz’ora dalla chiusura delle contrattazioni del 17/10/2018 a Wall Street, risultava essere in rialzo di 5,6 punti percentuali.
Nel terzo trimestre dell’anno in corso, la società è riuscita a superare le sue stime sul numero dei nuovi abbonati: a fronte di una previsione di 5 milioni, è stata raggiunta la soglia di quasi 7 milioni, per un totale di 137 milioni di utenti nel mondo. Limitatamente all’ormai maturo mercato statunitense, nonostante le preoccupazioni degli investitori, la grande N ha aggiunto ben 1,09 milioni di nuove sottoscrizioni, contro le 850.000 del periodo luglio-settembre 2017, superando ampiamente le aspettative.
Ma allora, nonostante questi dati parlino chiaro, come mai KeyBanc Capital Markets ha abbassato il rating di Netflix da overweight a sector weight?
La prima delle risposte – stando a quanto riportato su MilanoFinanza – viene immediatamente fornita dagli analisti della società americana: pur restando viva e positiva l’opportunità che Netflix continui ad aumentare i propri abbonati e le entrate, è necessaria una maggiore crescita dei ricavi e un’accelerazione dell’espansione dei margini per sostenere rialzi sostanziali del titolo, nonché un aumento della quantità di capitale incrementale, di modo da raggiungere un tasso stabile di crescita.
La preoccupazione maggiore delle agenzie di rating è, infatti, che questo incremento, un giorno, possa improvvisamente arrestarsi e portare, di conseguenza, ad un calo costante del valore del titolo.
La seconda motivazione emerge dai bilanci del colosso americano di streaming: Netflix è una società che opera in perdita. Nonostante l’utile netto del terzo trimestre sia pari a 403 milioni di dollari – contro i 129,6 milioni del medesimo periodo del 2017 – ed i ricavi crescano del 34% a 4 miliardi di dollari, la società spende molto. Forse troppo. E la cosa non piace a Wall Street.
Basti pensare che, solo nel 2018, sono stati messi sul piatto ben 12 miliardi di dollari per la produzione di contenuti originali, da trasmettere unicamente sulla propria piattaforma.
Di conseguenza, le stime prevedono una chiusura dell’anno in corso a -2,5 miliardi di dollari.
Ebbene sì: Netflix brucia molto di più di quanto incassa e, sul lungo periodo, questo modello di business potrebbe non essere sostenibile.
Ma come mai la società di Hastings sta spendendo così tanto?
Una risposta potrebbe essere che, siccome Disney lancerà la propria piattaforma OTT a pagamento nella primavera del 2019, sottraendo quindi alla concorrente Netflix le licenze dei contenuti Marvel, Fox, National Geographic, Disney e Pixar, diminuirà di conseguenza – almeno sulla carta – l’offerta del colosso californiano. Quindi, per compensare questa significativa riduzione del catalogo, Netflix dovrà aumentare la produzione di contenuti propri.
Alla luce di quanto detto, si aprono molteplici scenari. Il più improbabile è che Netflix, al fine di incrementare significativamente le entrate, conceda le produzioni originali ai concorrenti; ma ciò potrebbe portare a un calo degli abbonamenti. L’altro scenario, forse più probabile, è firmato Wall Street: Apple o Amazon potrebbero improvvisamente presentarsi da Hastings e tirare fuori dal cilindro un’offerta monstre per rilevare l’intera società. (P.G. per NL)