Tra i fenomeni di massa che hanno rivoluzionato il mercato televisivo negli ultimi anni vi è quello delle piattaforme di video on demand e, proprio su questo tema, la società ITMedia Consulting ha elaborato il rapporto “VOD in Europe: 2019 – 2022”, il quale ha l’eloquente sottotitolo “The Netflix Throne”.
Si tratta di un mercato che, stando al rapporto ITMedia Consulting, nel 2022 in Europa occidentale supererà i 10 miliardi di euro di ricavi, con un tasso di crescita annuo del 12%.
Le stime prevedono, infatti, nel 2019 ricavi per 7,091 miliardi di euro, in aumento a 8,082 miliardi nel 2020, a 9,072 miliardi nel 2021, fino alla significativa cifra di 10,025 miliardi nel 2022 (fonte ItaliaOggi).
Il mercato dei video on demand, come noto, si divide tra servizi in abbonamento (svod – subscription video on demand) e piattaforme transazionali (tvod – transactional video on demand): una torta che per il 77% è in capo ai primi e per il 23% alle seconde. A sua volta, lo svod – mercato detenuto per oltre il 50% dei ricavi da sua maestà Netflix – avrà la crescita annua maggiore (+15%) e nel 2022 deterrà l’81% del totale.Nei prossimi anni, però, cambierà il panorama dei servizi di streaming: oltre ai soggetti già affermati, quali appunto Netflix, Amazon Prime Video, Chili e gli altri (che da tempo battagliano per la conquista del trono), si aggiungeranno nuovi entranti – frutto delle grandi operazioni societarie d’oltre oceano – come, tra gli altri, la piattaforma Disney+ (attesa in Italia nei primi mesi del 2020).
Ciò che negli anni è cambiato è stato il diverso approccio ai contenuti: se prima l’obiettivo dei vari OTT, Netflix in primis, era quello di mettere a disposizione degli abbonati film e serie tv di pregio (titoli prodotti da terzi noti per attirare utenti); da qualche tempo ciò non basta più e la sfida è sulla produzione di contenuti originali (si pensi proprio alla strategia della grande N) o, correlativamente, sulla diffusione del proprio catalogo solo tramite canali della società di produzione stessa (come sta facendo Disney).
A tal proposito, Augusto Preta, direttore generale di ITMedia Consulting, ha così commentato la situazione: “Stiamo assistendo alla nascita di one stop shop in questo campo. Ognuno ha il proprio giardino, si prende i contenuti in esclusiva e li sottrae agli altri. I contenuti tenderanno sempre meno a circolare su più piattaforme e la competizione sarà sempre più accesa. È un cambio di paradigma, ma non tutti riusciranno a sostenere gli investimenti sui contenuti di cui si parla ora. Questi 4/5 anni saranno decisivi e probabilmente si vedranno i risultati di questa guerra a Netflix”.
Sostenere gli investimenti sui contenuti, questa è la vera sfida per gli OTT e le soluzioni sono pressoché solo due: aumentare/introdurre pubblicità o alzare i costi. Sul punto, la scelta dell’azienda di Los Gatos – assolutamente refrattaria all’introduzione di spot – è stata nel senso di un aumento dei costi del servizio, un incremento di 1 o 2 euro che da poco ha colpito anche l’Italia.
E’ rimasto invariato l’abbonamento base da uno schermo e con una definizione standard (7,99 euro); è aumentato, invece, da 10,99 a 11,99 euro l’abbonamento standard (due schermi e visione in HD) ed è passato da 13,99 a 15,99 euro – con ben 2 euro di rincaro – l’abbonamento premium (quattro schermi che possono guardare diversi contenuti contemporaneamente e definizione in Ultra HD).
L’aumento degli utenti, infatti, non basta a coprire gli ingenti costi in produzioni originali: sono proprio i titoli targati Netflix il punto di forza della società di Reed Hastings, ciò che permette alla stessa di primeggiare. Ma la primazia può non bastare se si ha un debito a lungo termine che supera i 10 miliardi di dollari. (G.C. per NL)