Nel mondo in perenne evoluzione delle news online, continua la ricerca del modello vincente per ottenere l’attenzione della rete. Twitter, il social network dei 140 caratteri, ha ormai compreso di essere in diretta concorrenza con le agenzie di stampa internazionali, oltre che di rappresentare uno strumento di lavoro imprescindibile per una moltitudine di giornalisti.
E’ nata perciò l’esigenza di non limitarsi a fare da piattaforma per i contenuti degli utenti, ma anche di fornire soluzioni a chi consulta i cinguettii per sapere che cosa succede nel mondo. Così è stato acquisito Summify, servizio in grado di filtrare e riassumere i tweet in base alla rilevanza, ordinando il caos delle voci in arrivo dalla rete. Ed è stato affinato il sistema di censura, in modo che le richieste di oscuramento provenienti da determinati paesi possano essere geolocalizzate e non diano luogo a cancellazioni a livello globale. Proprio quest’ultima operazione è stata largamente fraintesa (sul web, ma anche e soprattutto dai media tradizionali), dato che in realtà non si tratta di acquiescenza ai tentativi di limitare la libertà di espressione online, ma semmai del tentativo di rendere più selettiva la censura, permettendo di fatto una più ampia circolazione delle informazioni. Andrebbe premiata se non altro la trasparenza, dato che i vari Google, Facebook, Yahoo, ecc. censurano già da tempo (in ossequio alle leggi locali dei paesi ospitanti) ma ne parlano molto meno. E mentre un social network si trasforma in un news service, chi ha sempre fatto informazione deve fare i conti con l’efficacia dei propri modelli comunicativi sul web. E’ notizia recente (dati ComScore.com) che il Daily Mail, tabloid online britannico, ha superato in numero di utenti unici il sito informativo finora più frequentato al mondo, quello del New York Times. La struttura dei due siti e la rilevanza data ai diversi tipi di contenuto è quanto di più dissimile: rigoroso, sintetico e razionale il layout del NYT; appariscente, logorroico e ammiccante quello del Daily Mail. Politica, economia e news internazionali in primo piano per il quotidiano statunitense; gossip, cronaca e sesso a farla da padrone per quello inglese. “Scriviamo di quello che la gente vuole leggere”, ha dichiarato in proposito Martin Clarke, responsabile dell’edizione online del Mail. Un’affermazione non proprio da manuale del giornalismo, e neanche tanto originale. Se ne potrebbe tuttavia trarre la conclusione che assecondare e stimolare i gusti di più basso livello dei lettori-spettatori-navigatori sia una soluzione sempre valida, nei vecchi come nei nuovi media. In realtà probabilmente i due giornali online soddisfano semplicemente esigenze diverse, o anche (ma non necessariamente) pubblici differenti. Non avrebbe perciò molto senso metterli a confronto, anche se certamente questo tipo di statistiche continueranno a interessare gli investitori pubblicitari. Né bisognerebbe dimenticare che il New York Times ha ormai imboccato con decisione la strada dell’online a pagamento, ottenendo peraltro buoni risultati e dimostrando che la qualità può essere uno dei fattori decisivi per convincere i lettori a superare il preconcetto che in rete tutto dev’essere gratuito. Difficilmente la stessa operazione potrebbe essere portata avanti dal Mail, che infatti per il momento non ha in programma nessun paywall e si accontenta di trasportare i suoi utenti tra maxi-foto, servizi scandalistici e qualche pubblicità. Insomma, sul web così come sulla carta, c’è posto per molteplici idee e modi di fare giornalismo. (E.D. per NL)