Internet, si sa, è il medium attraverso il quale tutti possono diventare produttori di contenuti: senza alcun filtro e con un minimo di risorse è possibile pubblicare qualsiasi tipo di materiale, dal testuale all’audiovisivo, avendo un’audience potenziale di milioni di persone in tutto il mondo.
Così si è affermata anche l’idea che fare radio o televisione sia diventata un’attività alla portata di chiunque: è sufficiente una connessione a larga banda e qualche idea da comunicare. Ovvio che poi non sia proprio così, come dimostra la quantità in costante crescita di spazzatura multimediale che circola in rete. La radio però, mezzo nato “povero” e con una spiccata vocazione sociale, sembra aver riacquisito almeno in parte la genuinità e spontaneità delle origini “libere” grazie all’affrancamento dalle catene dello spettro elettromagnetico. Se l’FM, ormai assoggettata pienamente alle leggi del mercato, è il regno dei pochi grandi network che sono in grado di sostenere il costo di un’infrastruttura tecnica e organizzativa sempre più complessa, il web è diventato il nuovo terreno fertile per la crescita di piccole emittenti che fanno della forte specializzazione e del rinnovato legame con il territorio di riferimento la propria ragion d’essere, senza doversi più di tanto preoccupare degli aspetti economici della gestione, certamente più sostenibili di quelli di un broadcaster tradizionale. E come ormai accade regolarmente per tutti i fenomeni che spontaneamente si sviluppano in rete, presto è nata l’idea di cavalcare l’onda, offrendo ai neo-produttori servizi di supporto e comunicazione in cambio di qualche diritto di sfruttamento. E’ il caso di Radionomy (Radio-Autonomy), vera e propria incubatrice di web-radio, che si presenta non a caso come rappresentante di una “nuova era della radio, dove tutte le persone appassionate e di talento possono lasciar parlare a voce alta la propria creatività”. Al di là delle dichiarazioni, volte come d’uso a richiamare i nobili principi di libertà d’espressione graditi agli internauti della prima ora, il modello è chiaro anche se non immediatamente esplicitato: in cambio di un po’ di spazio per l’advertising (massimo 4 minuti all’ora, si dichiara sul sito) e la possibilità di inserire la nuova emittente nel proprio portale di aggregazione, Radionomy fornisce chiavi in mano un kit software per costruirsi un palinsesto radiofonico, con musica, jingle e contenuti in voce. In quindici minuti, volendo, la web radio può essere già online, sfruttando la libreria di materiali già pronti forniti dal sito, per i quali tra l’altro Radionomy garantisce il pagamento dei diritti d’autore e di broadcasting. Ovviamente c’è la possibilità di caricare anche contenuti autoprodotti o provenienti da altre fonti (sempre rispettando il copyright). E manco a dirlo, in omaggio alle tendenze di moda, l’integrazione è garantita con gli irrinunciabili social network e, tramite apposite apps, con i device mobili. Il meccanismo pare abbia funzionato: nata in Belgio nel 2008, Radionomy in tre anni di attività ha aggregato più di 3000 emittenti nella sola Europa, e attualmente trasmette in streaming 30 milioni di ore al mese. Con questi numeri e una campagna appena iniziata di fund raising, si appresta ora a dare l’assalto al mercato USA, dove peraltro è già localizzato il 30% della sua audience. In quest’ottica, le strategie future prevederanno anche la possibilità di offrire funzionalità di “operatore di rete”, con la prossima attivazione di Streamonomy, piattaforma di supporto dedicata alle emittenti, web o tradizionali, che vorranno estendere la propria presenza internet. Si vedono già, insomma, i lineamenti di un altro grande progetto di business basato su contenuti e idee condivise gratuitamente dagli utenti-appassionati, entusiasti di essere protagonisti della rinascita della vecchia radio. C’è solo da sperare che la spontaneità non debba lasciar spazio troppo presto alle esigenze di mercato, e che il fenomeno non debba seguire il destino delle “radio libere” dei gloriosi anni settanta… (E.D. per NL)