L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, durante l’ultima riunione del Consiglio dell’11 novembre, avrebbe approvato (il condizionale è d’obbligo, visto che non c’è ancora traccia di comunicati e testi ufficiali) uno dei regolamenti attuativi del cosiddetto “decreto Romani” di recepimento della direttiva europea 2007/65 “Audiovisual Media Service”.
In particolare, si tratterebbe delle norme riguardanti le web radio e tv lineari (ovvero quelle che trasmettono in streaming con un palinsesto definito). Già il testo del decreto aveva suscitato in molti la sensazione che si fosse approfittato del recepimento di una direttiva europea per cercare di far rientrare il multiforme mondo della comunicazione audiovisiva online nell’ambito di una sorta di “grande televisione”, equiparando tout-court le nuove forme di espressione a quelle dei vecchi media, con le relative conseguenze in termini di responsabilità e controllo sui contenuti. Ciò che non era esattamente nelle intenzioni del legislatore europeo, che invece mirava proprio a superare l’idea di prodotto audiovisivo indissolubilmente legato al medium che lo veicola, si era magicamente materializzato nella norma di recepimento nazionale. Le bozze di regolamento presentate da Agcom per la consultazione pubblica a luglio (strategica scelta dei tempi?) avevano poi spinto molti a decretare la fine prossima ventura delle emittenti web, perlomeno delle realtà più piccole, che si sarebbero infrante sul muro di carta e procedure prospettato, nonché sull’esoso contributo di 3.000 euro l’anno solo per esercitare un’attività spesso senza alcun fine di lucro (anzi…). Il testo definitivo parrebbe aver smussato in parte le intenzioni di partenza, dato che si parla di un contributo dimezzato a 1.500 euro (per le TV, mentre sono "solo" 750 per le web radio) e di una semplice dichiarazione di inizio attività in luogo di una vera e propria autorizzazione. Si rimane in attesa di conoscere le decisioni per quanto riguarda i contenuti on demand, che rappresentano la stragrande maggioranza in rete e spesso sono prodotti da piccole realtà locali o singoli operatori. Potrebbe esserci anche qui qualche semplificazione, ma in ogni caso possiamo dire di essere all’inizio di una grande operazione di burocratizzazione, potenzialmente letale per un settore la cui vitalità è stata finora alimentata proprio dalla possibilità di trasmettere senza vincoli e con costi minimi. E nessuno può negare il nuovo significato che queste voci dalla rete” hanno dato e continuano a dare ai concetti di partecipazione democratica e pluralismo dell’informazione che tanto spesso si sentono sbandierare nelle esternazioni pubbliche degli esponenti dell’Autorità e non solo. E’ noto però che nel nostro paese i nobili principi sono tanto presenti nel discorso pubblico quanto assenti nella pratica della regolamentazione. La reale volontà politica sembra anzi procedere in direzione opposta: per avvalorare la tesi basta correlare questi provvedimenti con quelli che stanno determinando il lento soffocamento delle piccole emittenti tv locali nel passaggio al digitale terrestre. Il potere unico televisivo è immanente e vuole continuare ad esserlo, anche a costo di soffocare l’innovazione. Il resto del mondo però sta inevitabilmente cambiando: forse stiamo assistendo agli ultimi colpi di coda di un dinosauro in via di estinzione. (E.D. per NL)