L’accesso a internet a banda larga esteso a tutti i cittadini, come è noto, è uno degli obiettivi qualificanti della Digital Agenda europea, che fissa traguardi ambiziosi, come i 30 Mbps per tutti entro il 2020 (con il 50% degli utenti a 100 Mbps).
Al di là dell’ovvio contributo che sarà in grado di dare lo sviluppo delle NGN (New Generation Networks), anche il mobile broadband giocherà un ruolo fondamentale nel percorso di avvicinamento ai target. A differenza però delle dinamiche di mercato delle reti fisse, che sono fondamentalmente simili in tutta Europa, lo scenario del mobile evidenzia differenze che derivano dalle variegate e spesso divergenti politiche di gestione dello spettro radio, adottate dagli Stati membri nel tentativo di far convivere un ampio numero di servizi pubblici e privati con risorse sempre più scarse a disposizione. Il Radio Spectrum Policy Group, organismo che ha il compito di fornire consulenza alla Commissione Europea proprio sui temi della gestione delle radiofrequenze, ha stabilito che entro il 2015 dovranno essere riservati alla banda larga mobile almeno 1200 MHz di spettro. Rispetto all’attuale allocazione, pari a 990 MHz, mancano all’appello ancora 210 MHz da reperire entro due anni. In una raccomandazione ancora in fase di consultazione pubblica (13-511), l’RSPG individua alcune bande di frequenza chiave (key-bands) che hanno le migliori potenzialità per essere utilizzate per il mobile broadband: 700 MHz, 1.5 GHz, 2.3 GHz, 3.8-4.2 Ghz. In particolare, nello stesso rapporto si invita la Commissione ad elaborare, in collaborazione con gli stati membri, una strategia di lungo termine sull’utilizzo della banda UHF (470-790 MHz) , che prenda in considerazione elementi come la durata delle licenze per il broadcasting, la necessità della transizione a nuove tecnologie più efficienti, la varietà delle piattaforme digitali terrestri nei diversi Stati, le difficoltà di coordinamento frequenziale nelle zone di confine. Non solo, ma RSPG invita anche la Commissione ad intervenire su questioni prettamente tecniche come la canalizzazione della banda a 700 MHz e la revisione degli standard dei ricevitori televisivi, onde evitare problemi di interferenza tra servizi broadband e broadcast, quali quelli che si stanno presentando in molti paesi dopo l’assegnazione della banda appena superiore (gli 800 Mhz) agli operatori dell’internet mobile. Si fa strada insomma la convinzione che l’espansione del mobile broadband abbia bisogno di un maggiore coinvolgimento delle istituzioni europee, dopo che l’approccio “morbido” delle ampie deleghe (sia sui tempi che sui modi) ai regolatori europei ha dimostrato tutti i suoi limiti nella fase dello switch-off al DTT e delle conseguenti procedure di assegnazione dei vari “digital dividend”, che hanno portato in molti casi all’apertura di procedure di infrazione di cui non si vede la fine (Italia, naturalmente, ma anche Bulgaria) o inefficienze nell’assegnazione dello spettro (come in Spagna, Paesi Bassi o Irlanda, dove si sono verificati casi di aste andate a vuoto o di assenza di domanda per consistenti bande di frequenze). Difficoltà che stanno portando l’Europa a perdere il primato tecnologico nella telefonia mobile, conquistato a suo tempo con il GSM e poi con l’UMTS-HSPA, ora insidiato dalla rapida corsa all’LTE delle grandi telco statunitensi. Lo stesso rapporto individua con una certa precisione le difficoltà che, in paesi ancora assai legati al sistema televisivo tradizionale, potrà incontrare la prossima transizione della banda dei 700 MHz, trattandosi in questo caso non di distribuire un “surplus” di frequenze derivante da un’evoluzione tecnologica (come nel caso del dividendo digitale) ma di limitare tout-court lo spazio a disposizione del broadcasting, con conseguente impoverimento dell’offerta. A meno di costringere milioni di utenti ad un’ulteriore e costosa operazione di upgrade tecnologico a nuovi standard, come il DVB-T2, o direttamente alle piattaforme satellitari. Tutto questo mentre i network televisivi sono impegnati in campagne promozionali che invariabilmente prospettano la moltiplicazione dei canali e delle trasmissioni HD, prossimamente UHD-4k. Nel dirimere la spinosa questione, RSPG invita a tenere in debito conto le esigenze delle diverse piattaforme DTT e a porre attenzione alle prospettive di convergenza tra broadcast e broadband per fornire servizi video lineari e/o on-demand ai dispositivi mobili di nuova generazione. La “fame di frequenze” degli operatori di larga banda, infatti, deriva in larga parte proprio dai contenuti audiovisivi sempre più richiesti e condivisi dagli utenti mobili, che utilizzano l’interattività tipica della rete per costruirsi quel palinsesto personalizzato che il broadcast non è in grado di offrire. Un punto di incontro è quindi possibile, a patto che gli operatori sul mercato abbandonino le logiche di contrapposizione e adottino con più convinzione un approccio multipiattaforma. Compito (arduo) dei regolatori nazionali, guidati in prospettiva da direttive europee più forti e vincolanti, dovrebbe essere proprio quello di indirizzare il mercato verso l’evoluzione più promettente in termini di sviluppo per gli operatori, tenendo conto delle peculiarità di ogni scenario nazionale e salvaguardando allo stesso tempo i diritti degli utenti. Molte delle prospettive di sviluppo dell’economia del vecchio continente dipenderanno da quanto le autorità di settore si riveleranno all’altezza del compito. (E.D. per NL)