Un recente rapporto dell’agenzia di consulenza A.T. Kearney, commissionato da quattro grandi compagnie di telecomunicazioni europee (Deutsche Telecom, France Telecom, Telecom Italia e Telefonica) ipotizza che l’attuale modello di sviluppo della rete non sia in grado di sostenere l’evoluzione di servizi e contenuti online sempre più ricchi ed esigenti in termini di larghezza di banda.
Le proiezioni parlano di un aumento annuo del traffico pari al 35% sulla rete fissa e oltre il 100% sulla rete mobile da qui al 2014, provocato principalmente da tre fattori: l’incremento dei contenuti audio-video (notoriamente affamati di banda), la diffusione dei dispositivi smart (internet tv, cellulari, tablet, ecc.) e, ultima e conseguente, la modifica delle abitudini degli utenti, che sono e vogliono essere sempre più connessi, indipendentemente dal luogo dove si trovano e dall’apparecchio che usano. In questa situazione, gli operatori di telecomunicazioni si vedono costretti a prevedere investimenti sempre maggiori al fine di incrementare la larghezza di banda delle reti, per rispondere da un lato alle esigenze dei fornitori di contenuti e servizi online, dall’altro a quelle degli utenti finali. Mentre però per questi soggetti si profilano vantaggi crescenti in termini di guadagni e di servizi fruibili, per le telco, con gli attuali modelli tariffari, il futuro non sembra essere luminoso. Finora infatti le compagnie hanno finalizzato le proprie offerte all’acquisizione di nuovi clienti, offrendo connettività a prezzi sempre più bassi, indipendentemente da volumi e tipologie di traffico. Saturato questo tipo di mercato, investire sulla rete per potenziarne la capacità diventa un’operazione che non è in grado di assicurare ritorni sufficienti. Qualcuno potrebbe anche decidere che il gioco non vale la candela. D’altra parte è evidente che, senza rapidi adeguamenti delle strutture tecnologiche e della larghezza di banda disponibile, il giocattolo potrebbe presto andare in pezzi con conseguenze incalcolabili per un’economia mondiale ormai dominata dal flusso delle informazioni digitali. Quali allora le soluzioni? Il rapporto ne passa in rassegna quattro. La prima si concentra sul lato utente, comportando la differenziazione delle tariffe in base a volumi, tipologie di traffico e fasce orarie di utilizzo, adottando un modello già largamente in uso nelle connessioni mobili. La seconda si propone di far pagare una parte dei costi dell’infrastruttura ai service provider, in base al traffico generato. La terza e la quarta soluzione comportano l’implementazione di meccanismi di quality of service a pagamento, ovvero instradamenti prioritari di determinati tipi di traffico (ad esempio streaming audio-video, VOIP, gaming online, ecc.), estesi a tutta la rete o confinati a walled garden definiti in accordi privati tra provider. In ogni caso la nuova filosofia si esprime nel dare un prezzo non più alla connettività in sé stessa, ma ai contenuti e ai servizi che vengono veicolati. Ed è qui che entra in gioco il dibattito, più che mai intenso sia negli USA che in Europa, sulla Net Neutrality: se passerà il nuovo modello, i network provider avranno il diritto di dare precedenza al traffico più sponsorizzato, e i service provider di selezionare i propri contenuti e fornire i servizi più innovativi solo a chi se li potrà permettere. Nessuno è ancora in grado di prevedere quanto questi nuovi potranno influire su quella che finora è stata la grande capacità della rete di produrre innovazione e soprattutto di diffonderla a larghi strati di popolazione, sperimentando nuove forme di socialità, comunicazione e persino partecipazione democratica. D’altra parte internet è anche una grande macchina economica, e sarà probabilmente il mercato a deciderne il futuro, sperando però che anche i governi e le autorità di regolazione vogliano far valere il proprio ruolo a favore dei cittadini della rete. (E.D. per NL)