La notizia l’ha data per prima “Repubblica.it”: secondo un documento prodotto in una riunione “riservata” della cabina di regia per l’Agenda digitale italiana presieduta da Francesco Caio, l’Italia starebbe facendo passi da gigante… all’indietro, nella qualità dei collegamenti a larga banda più diffusi, ovvero quelli che poggiano sul sistema ADSL.
Il documento, redatto dalla Fondazione Ugo Bordoni per il Ministero dello sviluppo economico, si basa su una serie di misure effettuate tramite il software Ne.Me.Sys, scaricabile dagli utenti sul sito “misurainternet.it”, un progetto di Agcom e FUB volto a misurare le prestazioni effettive dei collegamenti forniti dagli operatori di telecomunicazioni italiani. Al di là degli scostamenti rilevati rispetto alle velocità “nominali” pubblicizzate, già noti per essere non proprio irrilevanti, il dato preoccupante è quello del trend che nelle stesse slide del documento viene definito “peggioramento delle prestazioni nel tempo”. Alcuni esempi: chi ha una connessione a 20 Mbps nominali è fortunato se arriva a 10 (10% degli utenti – nel 2011 era il 30%), e ben sopra la media se sta sui 7 (30% degli utenti, 50% nel 2011). Si tratta di rilevazioni fatte nell’arco di 24 ore, tramite uno strumento software ideato per produrre risultati che valgono come elementi probatori in eventuali contenziosi con gli operatori. Il quadro è quindi affidabile, anche se dà conto in realtà solamente degli utenti che hanno effettuato il test, magari proprio a causa di problemi rilevati con la propria connessione. Le prime valutazioni raccolte parlano di un aumento degli utenti ADSL a fronte di una capacità della rete rimasta praticamente invariata. Ma è noto che la tendenza degli allacci alla rete fissa in Italia negli ultimi anni non ha fatto registrare balzi in avanti, rimanendo invece stazionaria. E’ possibile che siano aumentate le richieste di collegamenti veloci a 20 Mbps, ma è abbastanza improbabile che ciò abbia provocato il sostanziale crollo delle prestazioni che si legge nei dati. Non ci sono dubbi invece su quella che continua ad essere l’unica tendenza in positivo della rete italiana: le connessioni in mobilità. Il diffondersi a macchia d’olio di tablet e smartphone, con annesse offerte di collegamento ad internet più o meno flat, sta facendo aumentare a dismisura il traffico dati in arrivo alle stazioni radio base degli operatori. Traffico che poi, in un modo o nell’altro, deve arrivare tramite rete fissa nei punti di interscambio che si connettono con le grandi dorsali di internet. Peraltro, lo stesso documento che ratifica la regressione qualitativa delle ADSL evidenzia, invece, un sensibile miglioramento del throughput delle connessioni mobili, misurato tramite drive test condotti nelle principali città italiane. Resistendo alla tentazione di mescolare le pere con le mele, visto che si tratta di dati di tipologia e con modalità di rilevazione totalmente differenti, c’è n’è abbastanza comunque per trarre qualche conclusione e fare delle ipotesi. Intanto l’internet mobile, nonostante il traffico in ascesa, per ora non sembra risentire della scarsità di spettro radioelettrico disponibile, probabilmente anche grazie alla conversione verso tecnologie più efficienti, con UMTS e LTE che guadagnano progressivamente spazio nei confronti dell’ormai obsoleto GSM. D’altra parte, l’incremento dei flussi di dati provenienti dal mobile sta probabilmente mettendo in crisi l’infrastruttura di backhauling, e chi ne sta più facendo le spese sono i collegamenti fissi. Non è dato sapere se le motivazioni siano squisitamente tecniche o piuttosto derivino da politiche di mercato degli stessi operatori, che spesso sono presenti sia nel settore mobile che nel fisso, e allo stato attuale spingono molto di più sul primo che sul secondo. Risulta più agevole, del resto, in tempi di vacche magre, investire in nuovi trasmettitori LTE da piazzare nelle postazioni radio piuttosto che pianificare costosi collegamenti in fibra per servire le case degli italiani. Il tutto rientra in un processo di crescente “mobilizzazione” dell’internet italiana che non è solo un fatto tecnologico ma anche e soprattutto culturale, con l’espandersi di un approccio alla rete sempre più costruito intorno al modello delle App e dei servizi preconfezionati, ben diverso da quello tipico dell’accesso dal PC casalingo, che presuppone comunque un più alto livello di competenza e di consapevolezza dei meccanismi della rete. C’è un aspetto, però, del nuovo modello di fruizione, di cui si dovrà tenere conto nel prossimo futuro: la crescente richiesta di contenuti video, che, com’è noto, necessita di velocità e larghezza di banda sempre maggiori. Di conseguenza, se già ora l’esplosione dell’internet da device mobile sta avvenendo a scapito della “vecchia” ADSL, è facile prevedere che non siamo lontani dalla fase in cui, esaurita la capacità di “compensazione”, le attuali infrastrutture non saranno più in grado di reggere l’assalto dei nuovi flussi. A quel punto vedremo inesorabilmente regredire anche le statistiche dei servizi mobili. Il famoso “collasso da collo di bottiglia” che lo stesso Francesco Caio ha paventato in una sua recente intervista. Con buona pace di tutti quelli che pensano che internet prenderà il posto della televisione, e sollievo dei broadcaster. Insomma, tanto per cambiare servirebbero investimenti in NGN… un grido di dolore che proprio Mister Agenda digitale aveva lanciato già nel 2009, quando era stato incaricato (guardacaso) di analizzare lo stato della rete italiana. Un appello che fu sostanzialmente ignorato sia dagli operatori che, soprattutto, dalla politica. Nell’attesa di vedere come andrà a finire questa volta, possono intanto stare tranquilli tutti quelli (e sono tanti) che si sentono minacciati dall’avvento della Grande Rete: in Italia, come al solito, il futuro è rimandato a data da destinarsi. (E.D. per NL)