I rapporti sullo “stato della rete” si susseguono e ne delineano le tendenze future. In altre parole, ci dicono cosa sarà internet nei prossimi anni: se potrà mantenere, o piuttosto perderà irrimediabilmente, quelle caratteristiche di apertura e neutralità che chi l’ha frequentata fin dalla nascita ha imparato a conoscere.
Innanzitutto, la crescita inarrestabile dell’accesso mobile: mentre dati Ericsson parlano di un aumento del traffico pari all’80% in un anno, l’ultimo rapporto Akamai rivela un contemporaneo calo del picco massimo di velocità a livello globale di 2,4 Mbps. In sintesi: lo spettro radio non è sufficiente a contenere l’esplosione dei device mobili, nonostante (e forse anche a causa) delle nuove tecnologie. Se si vuole dare uno sbocco alla domanda di mercato, allocare nuove frequenze ai servizi internet è ormai un’operazione ineludibile, con buona pace di chi finora le ha gestite in modo magari non proprio efficiente (vedi alla voce broadcaster). Con questo tipo di prospettiva all’orizzonte, persino la famigerata gara per l’assegnazione del dividendo interno del digitale terrestre assume significati nuovi, tanto è vero che ora se ne parla soprattutto come di un’opportunità di investimento: comprare ora per rivendere poi con profitto alle telco, in un futuro non così lontano come poteva apparire qualche tempo fa. Poi, il dibattito sulla net neutrality, che si intreccia a filo doppio con il conflitto tra over-the-top e carrier sull’equa distribuzione dei profitti e dei costi di espansione della rete. E che, a ben vedere, ha a che fare anche con il futuro dell’intrattenimento multimediale. E’ infatti “colpa” dell’aumento esponenziale del traffico video (ben oltre il 50% – dati Cisco) se ora ci troviamo a un punto critico, dove appare inevitabile lo stringersi di accordi che permetteranno la creazione di “corsie preferenziali” a favore degli operatori del video on demand e a scapito dell’efficienza di tutti gli altri servizi. Ben poco sembrano influire gli orientamenti pro-neutralità dei regolatori europei e statunitensi. Le norme in via di approvazione nella UE lasciano in verità già spazio a possibili intese in questo senso, pur in presenza di un generico richiamo a garantire i servizi dell’internet di base. Negli USA, la FCC ha dovuto incassare una sconfitta nella vertenza Netflix-Verizon che segnerà inevitabilmente il futuro dei rapporti tra telco e over-the-top negli States. Tanto è vero che la stessa Netflix ha già annunciato di aver stretto accordi con Comcast, la maggiore compagnia televisiva via cavo americana, per garantire la giusta larghezza di banda d’accesso ai propri clienti. Il giudice di Washington che ha bocciato le disposizioni FCC, dando ragione a Verizon, lo ha fatto nel nome del principio di minima ingerenza dell’autorità amministrativa nel mercato dei servizi innovativi di telecomunicazione, una de-regulation che negli USA ha finora effettivamente funzionato, favorendo lo sviluppo dell’economia digitale. C’è chi sostiene che ora, invece, la deroga alla neutralità della rete favorirà solo il consolidamento delle posizioni dei grandi soggetti, togliendo al web buona parte del potenziale di incubatore di idee e servizi innovativi che ne ha fatto il principale propulsore dell’economia americana degli ultimi anni. Infine, l’ internet of things, ovvero l’evoluzione delle connessioni M2M (machine-to-machine) che sta assumendo contorni impressionanti: 1,9 miliardi di oggetti attualmente connessi, 9 miliardi che si prevede saranno in rete entro il 2018 (dati Business Insider). Il proliferare di tali dispositivi (tra i quali si possono annoverare anche le smart-TV) pone non pochi problemi di privacy e sicurezza, posto che il loro funzionamento avviene anche e prevalentemente “all’insaputa” dell’utente comune. Tirando le somme, se le tendenze attuali verranno confermate, l’internet che avremo fra qualche anno apparirà solo come una lontanissima parente di quella che è nata negli anni 90. Una rete pervasiva e onnipresente, dominata dal linguaggio visivo, alla quale ci si interfaccerà attraverso software di facile accesso e utilizzo immediato. Un immenso aggregato di walled garden, ognuno con i suoi servizi esclusivi ed escludenti, dove gli spazi interattivi saranno ridotti al minimo indispensabile. Per quanto riguarda i contenuti, la loro disponibilità e accessibilità sarà decisa da soggetti sostanzialmente inconoscibili (se non per il loro brand) ai quali delegheremo buona parte delle nostre capacità di scelta e discernimento. L’internet delle cose, con la sua intelligenza diffusa, ci aiuterà a barattare ciò che resta della nostra autonomia e riservatezza in cambio di ogni possibile comodità e occasione di divertimento. Un quadro che gli osservatori più attenti già intravedono, e che a molti appare non proprio rassicurante. Le preoccupazioni, però, sembrano rimanere confinate all’interno di ristretti gruppi di utilizzatori consapevoli, mentre la rete è ormai un fenomeno di massa. E la massa sembra per ora ben disposta a correre qualche vago e ben dissimulato rischio pur di poter disporre dei vantaggi della nuova internet. (E.D. per NL)