L’Italia online è in ritardo. Per molti non sarà una novità, ma l’argomento riveste un ruolo centrale nell’evoluzione del nostro Paese. Motivo per cui la stampa nazionale prosegue nell’incessante e meticolosa rappresentazione dello stato attuale delle cose in materia di informatizzazione e di utilizzo del web. Il dibattito nasce da una fotografia, piuttosto nitida e realistica, realizzata da una sovrapposizione di risultati ottenuti dalle numerose ricerche stilate da Eurisko, Nielsen ed Eurostat. L’immagine raffigura un’Italia che ha voglia di “connettersi”, ma per diversi motivi fatica a tenere il passo con i processi, velocissimi, della tecnologia. Ne consegue la volontà, per gli operatori del settore, di interrogarsi, nel dichiarato intento di scovare le motivazioni che tuttora rallentano il processo di informatizzazione italiana. Come suggerisce un curioso stralcio de Il Sole 24 Ore dello scorso sabato, Internet è sfruttato, almeno nel Belpaese, allo stesso modo del Telepass. Accedervi potrebbe essere semplicissimo e incredibilmente economico, oltre che rapido, ma c’è ancora chi preferisce rimanere in coda e attendere il casellante (purtroppo, la grande maggioranza degli italiani). Ergo, sfruttare le vie tradizionali. Che sia per sfiducia nella tecnologia, o per una controversa forma di comodità, non ci è dato saperlo, ma è così che gli internauti più affaccendati stampano le e-mail, effettuano bonifici bancari solo agli sportelli, ricercano anche la più banale delle informazioni didattiche nel proprio ateneo, senza provare a consultare il sito di riferimento della propria università. Per una volta Eurisko, Nielsen ed Eurostat, non puntano il dito su adulti e anziani, ammettendo che anche i giovani “connessi” faticano a utilizzare internet con l’idea di farne uno strumento utile per la propria vita, sia essa studentesca, lavorativa o quotidiana. Infatti pochi si affidano ad internet per studiare o scaricare documenti di ausilio al proprio corso di laurea (il paradosso è che gli iscritti degli atenei telematici sono in aumento; almeno il 20% degli studenti universitari sono sul web); pochissimi acquistano o vendono online (nonostante alcuni, forse più volenterosi e determinati, riescono a fare dell’e-commerce la propria prima o seconda attività professionale); inoltre, un numero ridottissimo di connazionali sfrutta i servizi di home banking, nonostante si tratti di operazioni piuttosto intuitive e facciano risparmiare qualche decina di euro all’anno. Paragonando poi la presenza degli internauti in rete con altri paesi europei, si scopre che il numero degli italiani connessi rimane di molto sotto la media. Per non parlare dei servizi elettronici dedicati alla pubblica amministrazione che, sebbene la parola innovazione sia ormai sulla bocca di tutti, faticano a decollare e attecchire. Ne è prova il fatto che sempre più spesso le PA si affidino ad agenzie specializzate esterne per risolvere l’ammodernamento dei servizi, senza preoccuparsi di colmare le lacune strutturali legate all’informatizzazione (tanto meno di educare i propri dipendenti ad un uso più consapevole delle nuove tecnologie). A questo punto, viene naturale chiedersi cosa se ne faccia l’italiano medio della banda larga, se navigando in internet si limita a visitare qualche sito di informazione o a sostenere qualche discutibile chiacchierata in una qualunque delle centinaia community del web 2.0. Il proverbiale “chi ha il pane non ha i denti” risulta più azzeccato che mai: forse, il divario digitale crea aspettative solo in chi ancora vive internet a 56k; chi al contrario spazia nel favoloso mondo dell’Adsl, non sembra riconoscere più quelle potenzialità che solo dieci anni fa – Google cominciava la sua rapida scalata al potere – si pensava che avrebbero cambiato la propria vita. (Marco Menoncello per NL)