All’ombra del conflitto di interessi tra broadcaster e telco, che interessa i grandi protagonisti dello scenario economico delle comunicazioni elettroniche, e si gioca in gran parte sulle politiche di gestione dello spettro radioelettrico, in Italia è in corso un’altra battaglia.
Un conflitto di dimensioni più modeste, che vede le piccole imprese che forniscono l’accesso a internet (spesso supplendo ai “buchi” lasciati dai grandi nelle aree più difficili e meno economiche da coprire) opposte agli organismi regolatori. Intorno a ferragosto, nel pieno della tipica sonnolenza vacanziera italiana, Assoprovider (associazione che riunisce piccole e medie imprese fornitrici di accesso internet) ha lanciato un allarme che è rimbalzato su svariate testate online, con lanci del tipo “Wi-fi a rischio per milioni di utenti” o “Il Wi-Fi, un fastidio più che un’opportunità ?”. Alla base di tutto ci sarebbe un ipotetica “stretta” degli organi di controllo del Ministero dello sviluppo economico sulle regole di utilizzo delle frequenze HiperLAN, ovvero della banda dei 5 GHz, utilizzate dai Wireless Internet Provider (WISP) per fornire ai propri clienti l’accesso alla rete. In un duro comunicato, pubblicato sul proprio sito e ripreso più volte sul web, l’associazione stigmatizza il comportamento del Mise e schematizza puntualmente le richieste dei WISP circa l’utilizzo delle frequenze cosiddette “ad uso collettivo” (che comprendono le bande dei 2,4 – 5 – 17 – 24 GHz), ritenendo che la normativa europea in particolare consenta: “- l’uso delle frequenze dei 2,4 GHz 5GHz per realizzare reti di accesso ad internet da postazione fissa (comunicazioni pubbliche da postazione fissa); – l’uso delle frequenze dei 2,4GHz, 5GHz per connettere Access Point del medesimo WISP (backbone); – l’uso delle frequenze dei 17GHz, 24GHz per connettere Access Point del medesimo WISP (backbone); – l’uso delle frequenze dei 2,4GHz, 5GHz, 17GHz, 24GHz, per “interconnettere” infrastrutture di rete di operatori della comunicazione; – l’accesso alle frequenze licenziate da parte dei WISP". Uno scenario tecnico, quindi, che va ben al di là del cosiddetto Wi-Fi (che nella sua accezione comune di diffusissimo sistema di accesso comprende solo le frequenze dei 2,4 e 5 GHz), coinvolgendo in realtà lo status abilitativo dei WISP e la possibilità per questi ultimi di costruire reti di accesso interconnesse utilizzando tutte le bande di frequenza, siano esse “non licenziate” (come quelle citate) o meno. Lo scoglio che si vorrebbe superare è quello dell’attuale disciplina delle autorizzazioni, che distingue i semplici “provider” (quali sono considerati, appunto, i WISP) dai “fornitori di rete”. Questi ultimi sono effettivamente abilitati a fare tutto ciò che Assoprovider richiede, ma solo a seguito del conseguimento di un’autorizzazione generale che prevede il pagamento di contributi forfettari parametrati sul numero di abitanti delle zone che si intende servire. Contributi che, secondo l’allegato 10 del Codice delle comunicazioni (D.Lgs. 259/03) vanno da 27.750 a 111.000 euro annui , e vengono visti come una vera e propria barriera all’ingresso, in quanto troppo onerosi, dalle piccole imprese che si cimentano in questo settore di mercato. Proprio allo scopo di agevolare l’accesso a questa tipologia di autorizzazione, peraltro, è intervenuta nel 2013 una modifica al Codice delle comunicazioni che ha introdotto la possibilità, per le imprese con un numero di utenti pari o inferiore a 50.000, di versare un contributo di 300 euro ogni 1000 utenti. Le reazioni da parte pubblica non si sono comunque fatte attendere. L’appello pare infatti sia giunto agli uffici del Sottosegretario alle comunicazioni Giacomelli, che dopo pochi giorni (fonte: Corriere delle comunicazioni) ha fatto sapere: “Non abbiamo nessuna intenzione di fare un giro di vite. E’ un allarme infondato. I 5 GHz resteranno utilizzabili dagli operatori così com’è stato possibile fare finora”, annunciando poi sconti “sulle licenze per l’uso delle frequenze” per gli operatori con meno di 50000 utenti, da inserire nel Decreto “Sblocca Italia”. Ulteriori non specificate fonti del Mise avrebbero anche dichiarato: "Gli operatori potranno continuare a usare queste frequenze non licenziate per offrire accesso a internet. Resta vietato l’uso per il backhauling”. Peccato che il backhauling sia proprio uno dei motivi del contendere, così come appare evidente leggendo il comunicato di Assoprovider. L’associazione infatti ritiene che l’attuale assetto normativo europeo già consenta di utilizzare le frequenze “incriminate” (che peraltro, come si è visto, non comprendono solo i 5 GHz citati da Giacomelli) per la connessione e l’interconnessione delle infrastrutture di rete da parte dei WISP. Lo “Sblocca Italia” è stato licenziato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 29 agosto, ma le norme promesse non sembrano essere presenti nelle versioni del testo finora disponibili. Nel frattempo circola invece in rete la bozza non ufficiale di una circolare del Mise che sembra confermare quanto anticipato da Assoprovider. In attesa di ulteriori prese di posizione, la partita è ancora aperta. (E.D. per NL)