Grande fermento intorno ai temi della banda larga, negli ambienti politici di governo e opposizione. E guarda caso tutto ciò accade nel momento in cui i grandi broadcaster prendono coscienza delle potenzialità della rete.
Così la Commissione trasporti e lavori pubblici del Senato si accorge improvvisamente che l’Italia è in ritardo sulle reti di nuova generazione e apre un’indagine per – testuali parole – "individuare gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo della banda larga e determinare quelle politiche che ne possano segnare il rilancio". Come se finora non se ne fosse mai parlato, e non si fosse addirittura incaricato il “guru” Roberto Caio (ben due anni fa) di indagare il mistero, ignorandone poi bellamente le conclusioni. Fatto, quest’ultimo, che fa notare in una recente intervista Paolo Gentiloni, ex Ministro delle comunicazioni e ora responsabile del “forum ICT” (qualunque cosa sia) del PD, rimarcando gli interessi quasi esclusivamente televisivi del governo e proponendo l’ennesima Agenda digitale con il contributo di istituzioni nazionali e locali, operatori, imprese, eccetera. Non proprio un contributo di eccelsa originalità; senonché lo stesso Gentiloni si esprime nuovamente pochi giorni dopo sul tema della gara per le preziose frequenze da riservare all’internet mobile. E, nel generale auspicio che vengano al più presto liberate le risorse spettrali, si fa portavoce di singolari quanto improbabili proposte di soluzione al tragico problema delle emittenti locali, quale ad esempio quella di assegnare a queste ultime e non alle tv nazionali il dividendo digitale interno. Suggerimento (forse consapevolmente) fuori tempo massimo, nonché discretamente in contrasto con il giubilo espresso giusto venti giorni fa dallo stesso esponente del PD circa l’ammissione di Sky al beauty contest ora vituperato. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni frattanto sforna quasi quotidiane consultazioni pubbliche (la moda del momento), proponendosi come protagonista in tutti i campi cruciali: dalla net neutrality al diritto d’autore, passando dai rapporti tra operatori di rete e over-the-top, fino alla succitata procedura di assegnazione delle frequenze del dividendo digitale esterno. Si ha insomma la sensazione diffusa che qualcosa si stia muovendo, ma gli squilli di tromba che hanno svegliato sonnacchiose formazioni politiche ed elefantiaci apparati amministrativi provengono con ogni probabilità da soggetti che hanno a cuore scopi differenti rispetto al nobile e democratico intento di colmare il digital divide e fornire un decente accesso alla rete a tutti i cittadini italiani. I grandi gruppi televisivi hanno scoperto internet, ma hanno anche scoperto che, così com’è, serve a poco rispetto ai loro ambiziosi obiettivi, con una banda che è larga solo nelle dichiarazioni e lo sviluppo della new generation network che è ferma al palo perché mancano gli investimenti. Così i gruppi di pressione si sono messi in moto, sia in Europa che in Italia. E i risultati cominciano a vedersi. La partita è appena cominciata: la larga banda, ora che è funzionale agli interessi dei grandi fornitori di contenuti, probabilmente si farà davvero. Ma sarà frutto di accordi tra big player benedetti dai rispettivi schieramenti politici di riferimento. A tutelare la neutralità della rete e i diritti dei futuri cittadini digitali dovranno pensare le autorità di regolazione, sulla cui attività tutti coloro che sono interessati ad un’internet libera e accessibile faranno bene a vigilare attentamente. (E.D. per NL)