Qualcuno lo spieghi alle grandi aziende italiane e al Governo. Essere intercettati non è un’opportunità. Non esserlo è un diritto, che può essere limitato solo da esigenze – motivate e tassative – dall’Autorità giudiziaria.
In una società che si basa sempre di più sulle tecnologie di telecomunicazione è impensabile ammettere che i nostri dati personali possano essere a disposizione delle società che, gioco forza, ne entrano in possesso. In Italia invece è accaduto. L’Autorità Garante per la Privacy ha infatti fatto sapere che tra il 2001 e il 2008 i tre maggiori operatori telefonici del Paese, Telecom Italia, Vodafone e H3G, hanno registrato tutto il traffico mobile di questi anni e i dati internet passati attraverso i nostri cellulari sono stati sostanzialmente archiviati. E quando scriviamo tutto, intendiamo proprio tutto. Pagine web visitate, password personali, email, documenti spediti. L’intera attività online di una nazione è stata memorizzata. Ora, non possiamo credere che poi i tecnici di queste tre società siano andati realmente a spulciare quelli che sono i nostri vizi e le nostre virtù; ma, astrattamente, nulla glielo avrebbe impedito. I dati potrebbero essere stati analizzati in forma aggregata e resi disponibili ad alcune società che si occupano di ricerche di mercato, ma a nessuno sarebbe stato dato l’ordine sistematico di scandagliare i comportamenti personali di singoli individui. Ma quei dati erano lì, potenzialmente a disposizione. E se qualcuno in malafede avesse voluto approfittarne, avrebbe potuto farlo. Anche solo se fosse stato un dipendente di un operatore che avvese voluto dare una mano ad un amico “controllando” le e-mail della moglie. E perché questi dati erano “a disposizione”? Perché queste società si sono sentite in dovere di archiviare tutto? Forse lo scopriremo presto. Oppure non lo sapremo mai. (Davide Agazzi per NL)