Noi che ci occupiamo di questo settore, ahinoi, a questo genere di cose c’eravamo anche abituati. Tante volte, dalle pagine di questo periodico, di fatti, sono stati trattati i casi delle violazioni che, ad esempio, il governo cinese continua a perpetrare sugli utenti della rete.
Proprio su quei cinesi che, ad oggi, sono gli internauti più numerosi della terra. Ci eravamo occupati di casi singoli o di limitazioni generali messe in atto dai cosiddetti paesi “nemici di internet”. Ma dall’Australia, francamente, non ce l’aspettavamo. Non perché l’Australia sia un Paese particolarmente progressista (non lo è). Ma in quanto, nell’immaginario comune, fa parte della schiera dei paesi anglosassoni che rispettano, per cultura, le leggi della democrazia di stampo occidentale più d’ogni altra cosa. E invece c’è caduta anche l’Australia. Con tutte le scarpe. È notizia di pochi giorni fa, infatti, il progetto del Ministro per le Telecomunicazioni, Stephen Conroy, di porre dei paletti, dei filtri, alla ricerca su internet, per impedire l’accesso a siti ritenuti non convenienti al governo di Canberra. Il sistema di filtraggio dovrebbe riguardare non solo siti con contenuti pornografici, ma anche il P2P e Bittorent. Il sistema dovrebbe essere articolato secondo una composizione binaria: da una parte si bloccheranno quei siti segnalati nella blacklist del Ministero e dell’altra verrà effettuato un blocco delle chiavi di ricerca per i siti per adulti. In tutto, si è calcolato, verranno bloccati 1300 siti. Ma potrebbero essere molti di più, dal momento che in rete l’effetto domino è raggiungibile molto facilmente: il blocco di un contenuto, infatti, potrebbe generare il blocco di un intero portale. Conrory c’aveva provato anche l’anno scorso, con una proposta di filtraggio altrettanto scioccante, e quest’anno ha deciso di ritentarci. Secondo i piani del dicastero, infatti, la fase di sperimentazione dovrebbe partire nelle prime settimane del 2010. Certo è, però, che a guardare troppo all’estero si finisce per sottovalutare ciò che si ha a casa propria. Nonostante le smentite delle ultime ore, infatti, le dichiarazioni del Ministro degli Interni italiano, Roberto Maroni, all’indomani dell’aggressione al Presidente del Consiglio, avrebbero dovuto destare molto più scalpore di quello che, in effetti, han fatto, così distratte dall’enorme caso mediatico scatenato dalla violenza fisica subita da Berlusconi. Bloccare la rete, infatti, e probabilmente l’intero sistema di uno dei social network più famosi del mondo, per oscurare i contenuti offensivi ed irrispettosi nei confronti del premier, farebbe scivolare l’Italia in un abisso da metodo cinese. O australiano, a questo punto. (G.M. per NL)