Gli internauti del vicino oriente sono ancora vittime, presumibilmente innocenti, di un abuso di potere. Accade nella capitale iraniana di Teheran, dove la polizia locale, nell’intento di tenere fede ad una specifica campagna per la moralizzazione della società, ha scelto di chiudere 24 internet cafè. All’operazione sono seguiti 23 arresti dei relativi proprietari e gestori dei punti commerciali “fuorilegge”. A Teheran, città da circa dieci milioni di abitanti, sono centinaia gli internet cafè affollati di giovani internauti, che riempiono le sale alla ricerca di quella presunta libertà che internet sembra poter offrire a chiunque abbia una connessione a banda larga. Questo è il motivo per il quale il governo iraniano esercita, in modo analogo ad altri paesi orientali, pressioni particolari sul fenomeno web. Non a caso le operazioni di polizia, di cui sopra, hanno denunciato la diffusione di foto oscene, di videogiochi immorali e la presenza abituale di clienti (donne) “malvelate” nei cafè chiusi. Un fenomeno simile, ma molto più esteso, vide protagonista, nel 2004, la Cina, dove il ministro della cultura Sun Jiazheng, aveva fatto chiudere addirittura 8.600 internet cafè, considerati illegali perché avrebbero ospitato occasionalmente ragazzi minorenni. Nella Repubblica Popolare Cinese, navigare sul web e chattare sono piaceri consentiti solo dopo la maggiore età. Nonostante la sua popolarità, internet rimane uno strumento “pericoloso” e vietato da molte comunità, per questioni apparentemente morali, ma comunque difficili da comprendere per un mondo, quello occidentale, dove i bambini imparano ad usare un pc fin dalla più tenera età. (Marco Menoncello per NL)