Il 06/07/2010 è stato depositato in segreteria un provvedimento del 27/04/2010 del Consiglio di Stato di rilevante importanza per l’annosa questione delle interferenze provocate da impianti privati ai diffusori RAI.
Il supremo organo di giustizia amministrativa, decidendo su due ricorsi aventi tema le note “Linee guida per la soluzione di problematiche interferenziali nel settore della radiodiffusione sonora”, emanate congiuntamente dalla DGSCER e dalla DGPGSR dell’allora MinCom il 24/06/2005 dopo aver registrato un impressionante sviluppo del contenzioso interferenziale tra radio private e RAI, ha introdotto alcuni importanti principi giurisprudenziali che sicuramente incideranno su numerosi procedimenti amministrativi della medesima fattispecie. I ricorsi avanzati al CdS miravano alla riforma della sentenza del TAR Veneto – Venezia, Sezione III, n. 00808/2008 e vedevano contrapposti il Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento Comunicazioni, Rai Way ed un’emittente privata veneta. Nel merito, la sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso proposto da Rai Way, aveva annullato un provvedimento dell’Ispettorato Territoriale Veneto, che aveva revocato, per ius superveniens, l’ordine di eliminazione delle interferenze impartito ad una stazione privata. Proprio perché il provvedimento dell’I.T.V. (di revoca della prescrizione antinterferenziale) era conseguente alla circolare delle Direzioni Generali, i giudici amministrativi di primo grado avevano annullato, per quanto di ragione, le “Linee guida” recate da essa. Ricordando, per sommi capi, il documento d’indirizzo tecnico dirigenziale, da sempre energicamente contestato da RAI, va sottolineato (per quel che qui interessa) come in esso si prevedesse che, alla presenza di una situazione interferenziale coinvolgente impianti del gestore del servizio pubblico, gli Ispettorati territoriali competenti dovessero accertare, prima di adottare misure particolarmente repressive, se le emissioni degli impianti RAI interferiti fossero le uniche ricevibili nelle aree interessate, condizionando le azioni a tutela del concessionario pubblico al fatto che il “servizio” fosse o meno assicurato con altro impianto dello stesso gestore irradiante la medesima programmazione nell’area di riferimento. In altri termini, il Ministero, con le citate Linee Guida, prescriveva ai propri organi periferici di applicare alle problematiche interferenziali il concetto di “tutela del servizio”, in luogo di quello di “tutela del singolo impianto”. Una prescrizione che, però, secondo il TAR che aveva accolto il ricorso di Rai Way, sarebbe entrata in contrasto con l’art. 12 della L. 112/2004, con l’art. 42 del D. Lgs. 177/2005 (Testo Unico della Radiotelevisione) e con la convenzione tra il Ministero delle Comunicazioni e la RAI, questa ultima volta ad assicurare al concessionario del servizio pubblico di radiodiffusione la tutela delle interferenze, ove accertate con regolare procedimento in contraddittorio. Avverso alla decisione del TAR Veneto avevano proposto autonomi appelli sia il MSE-Com che l’emittente privata. Disposta la riunione dei gravami, considerata l’evidente connessione oggettiva e soggettiva (trattandosi di appelli avverso la medesima decisione), il CdS li respingeva entrambi. La motivazione della decisione dei giudici di ultima istanza si fondava sull’art. 42 del D. Lgs. 177/2005, a mente del quale ciascun concessionario, pubblico o privato, è tenuto ad “assicurare che le proprie emissioni non provochino interferenze con altre emissione lecite di radiofrequenze”. La norma richiamata dal CdS a ragione della propria risoluzione tutelerebbe l’emissione lecita di radiofrequenze proveniente dal singolo impianto come (secondo i giudici) si ricaverebbe "agevolmente dall’art. 16 della L. 223/1990, che, al primo comma, subordina l’ottenimento della concessione per l’esercizio della radiodiffusione da parte di soggetti diversi dalla concessionaria pubblica" al conseguimento della "concessione anche per l’installazione dei relativi impianti”, e, al secondo comma, stabilisce che nell’atto di concessione "sono determinate le frequenze sulle quali gli impianti sono abilitati a trasmettere, la potenza e l’ubicazione e l’area da servire da parte dei suddetti impianti" (dimenticando, invero, che tutto ciò era inscindibilmente connesso all’approvazione di un Piano di assegnazione delle frequenze per radiodiffusione sonora in tecnica analogica, mai avvenuta, con conseguenti effetti inibitori sulle norme di legge ad esso riferite…). “In base a tale normativa – scrivono i giudici di secondo grado nel provvedimento qui analizzato – deve certamente escludersi che un concessionario possa appropriarsi di aree di servizio assegnate ad altri soggetti, in particolare alla concessionaria pubblica, mediante emissioni interferenti sugli impianti in esercizio a questi ultimi, occupandone le frequenze e peggiorandone la ricezione fino al livello di qualità minimo accettabile. Occorre, al contrario, che alla concessionaria pubblica l’Amministrazione assicuri sempre, anche in base agli obblighi assunti con il contratto di servizio, la piena disponibilità delle frequenze occorrenti all’espletamento del servizio ed alla copertura del territorio”. Secondo i magistrati amministrativi superiori, il passaggio dell’approccio della tutela dal singolo impianto al servizio globale, cui tendono le linee-guida, potrebbe “esser legittimamente posto in essere dagli Ispettorati, in quanto le interferenze non pregiudichino il servizio pubblico, in sé prevalente rispetto all’ attività degli altri concessionari ex art. 24 del D.lgs. 177/2005”. Da ciò discenderebbe “che i fenomeni interferenziali, in sé illeciti, possono essere tollerati non già ogni qualvolta l’operatore interferito abbia una pluralità di impianti utilizzabili per coprire l’area interferita”, ma solo “quando la pluralità di impianti serva alla ridondanza (meramente ripetitiva) del segnale”. Come si può agevolmente rilevare, quella qui analizzata, è pertanto una decisione che, lungi dall’aver minato la validità delle “Linee guida” del giugno 2005 nella loro interezza le ha, anzi, ulteriormente rafforzate, recintandole in un perimetro di applicabilità sì più definito, ma anche più robusto. Piuttosto, la decisione dei giudici amministrativi romani, definendo il concetto di ridondanza strumentale al servizio, ha incidentalmente fornito elementi utili per censurare la recente pretesa di alcuni ispettorati territoriali del MSE-Com di contestare, tout court, un’asserita sovrabbondanza impiantistica da parte di emittenti dotatesi di una pluralità di diffusori per sopperire ad una sofferenza interferenziale cronica derivante dalla mancata approvazione del P.N.A.F. per la radiodiffusione sonora in tecnica analogica. (M.L. per NL)