Non si quieta l’annosa problematica relativa alla conduzione da parte degli Ispettorati territoriali del Ministero dello Sviluppo Economico degli accertamenti interferenziali conseguenti a lamentele della p.c. RAI verso emissioni di stazioni private e in particolare a riguardo dell’applicazione della norma ITU-R BS. 562.3 in luogo della ITU-R BS 412.9.
Data la complessità della materia, pare opportuno effettuare un preventivo inquadramento dell’evoluzione giurisprudenziale della vicenda. A riguardo, si ricorderà che il 06/07/2010 era stato depositato in segreteria un provvedimento del 27/04/2010 del Consiglio di Stato (n. 4301/2010) di rilevante importanza per l’annosa questione delle interferenze provocate da impianti privati ai diffusori RAI. Nel merito, il supremo organo di giustizia amministrativa, decidendo su due ricorsi aventi tema le note “Linee guida per la soluzione di problematiche interferenziali nel settore della radiodiffusione sonora”, emanate congiuntamente dalla D.G.S.C.E.R. e dalla D.G.P.G.S.R. dell’allora MinCom il 24/06/2005 , aveva introdotto alcuni importanti principi giurisprudenziali destinati ad incidere su numerosi procedimenti amministrativi della medesima fattispecie. I ricorsi avanzati al CdS miravano alla riforma della sentenza del TAR Veneto – Venezia, Sezione III, n. 00808/2008 e vedevano contrapposti il Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento Comunicazioni, Rai Way ed un’emittente privata. Più a fondo, la sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso proposto da Rai Way, aveva annullato un provvedimento dell’Ispettorato Territoriale Veneto, che aveva revocato, per ius superveniens, l’ordine di eliminazione delle interferenze impartito ad una stazione privata. Proprio perché il provvedimento dell’I.T.V. era conseguente alla circolare delle Direzioni Generali, i giudici amministrativi di primo grado avevano annullato, per quanto di ragione, le “Linee guida” recate da essa. Ricordando, per sommi capi, il documento d’indirizzo tecnico dirigenziale, da sempre energicamente contestato da RAI, va sottolineato (per quel che qui interessa) come in esso si prevedesse che, alla presenza di una situazione interferenziale coinvolgente impianti del gestore del servizio pubblico, gli Ispettorati territoriali competenti dovessero accertare, prima di adottare misure particolarmente repressive, se le emissioni degli impianti RAI interferiti fossero le uniche ricevibili nelle aree interessate, condizionando le azioni a tutela del concessionario pubblico al fatto che il “servizio” fosse o meno assicurato con altro impianto dello stesso gestore irradiante la medesima programmazione nell’area di riferimento. In altri termini, il Ministero, con le citate Linee Guida, prescriveva ai propri organi periferici di applicare alle problematiche interferenziali il concetto di “tutela del servizio”, in luogo di quello di “tutela del singolo impianto”. Una prescrizione che, però, secondo il TAR che aveva accolto il ricorso di Rai Way, sarebbe entrata in contrasto con l’art. 12 della L. 112/2004, confluito nell’art. 42 del D. Lgs. 177/2005 (Testo Unico della Radiotelevisione) e con la convenzione tra il Ministero e la RAI, questa ultima volta ad assicurare al concessionario del servizio pubblico di radiodiffusione la tutela delle interferenze, ove accertate con regolare procedimento in contraddittorio. Avverso alla decisione del TAR Veneto avevano proposto autonomi appelli sia il MSE-Com che l’emittente privata. Disposta la riunione dei gravami, considerata l’evidente connessione oggettiva e soggettiva (trattandosi di appelli avverso la medesima decisione), il CdS li respingeva entrambi. La motivazione della decisione dei giudici di ultima istanza si fondava sull’art. 42 del D. Lgs. 177/2005, a mente del quale ciascun concessionario, pubblico o privato, è tenuto ad “assicurare che le proprie emissioni non provochino interferenze con altre emissione lecite di radiofrequenze”. La norma richiamata dal CdS a ragione della propria risoluzione, avrebbe tutelato l’emissione lecita di radiofrequenze proveniente dal singolo impianto come (secondo i giudici) si sarebbe ricavata "agevolmente dall’art. 16 della L. 223/1990, che, al primo comma, subordina l’ottenimento della concessione per l’esercizio della radiodiffusione da parte di soggetti diversi dalla concessionaria pubblica" al conseguimento della "concessione anche per l’installazione dei relativi impianti”, e, al secondo comma, stabilisce che nell’atto di concessione "sono determinate le frequenze sulle quali gli impianti sono abilitati a trasmettere, la potenza e l’ubicazione e l’area da servire da parte dei suddetti impianti". “In base a tale normativa – scrivevano i giudici di secondo grado nel provvedimento analizzato – deve certamente escludersi che un concessionario possa appropriarsi di aree di servizio assegnate ad altri soggetti, in particolare alla concessionaria pubblica, mediante emissioni interferenti sugli impianti in esercizio a questi ultimi, occupandone le frequenze e peggiorandone la ricezione fino al livello di qualità minimo accettabile. Occorre, al contrario, che alla concessionaria pubblica l’Amministrazione assicuri sempre, anche in base agli obblighi assunti con il contratto di servizio, la piena disponibilità delle frequenze occorrenti all’espletamento del servizio ed alla copertura del territorio”. Secondo i magistrati amministrativi superiori, il passaggio dell’approccio della tutela dal singolo impianto al servizio globale, cui tendevano le Linee Guida, avrebbe potuto “esser legittimamente posto in essere dagli Ispettorati, in quanto le interferenze non pregiudichino il servizio pubblico, in sé prevalente rispetto all’attività degli altri concessionari ex art. 24 del D.lgs. 177/2005”. Da ciò sarebbe disceso “che i fenomeni interferenziali, in sé illeciti, possono essere tollerati non già ogni qualvolta l’operatore interferito abbia una pluralità di impianti utilizzabili per coprire l’area interferita”, ma solo “quando la pluralità di impianti serva alla ridondanza (meramente ripetitiva) del segnale”. Come si può agevolmente rilevare, quella analizzata, era pertanto una decisione che, lungi dall’aver minato la validità delle “Linee guida” del giugno 2005 nella loro interezza le aveva per un certo verso rafforzate, recintandole in un perimetro di applicabilità sì più definito, ma anche più robusto. Piuttosto, la decisione dei giudici amministrativi romani, definendo il concetto di ridondanza strumentale al servizio, aveva incidentalmente fornito elementi utili per censurare la pretesa di alcuni ispettorati territoriali del MSE-Com di contestare, tout court, un’asserita sovrabbondanza impiantistica da parte di emittenti dotatesi di una pluralità di diffusori per sopperire ad una sofferenza interferenziale cronica derivante dalla mancata approvazione del P.N.A.F. per la radiodiffusione sonora in tecnica analogica. Nondimeno, la gestione della problematica da parte degli I.T. è risultata eterogenea e a volte contraddittoria e confusa, determinando gravi fenomeni di disparità di trattamento. In particolare, una delle questioni più dibattute nell’ambito del confronto tra operatori privati e P.A. di specie è l’applicazione, ai fini dell’accertamento interferenziale, della norma ITU-R BS 562-3 in luogo della ITU-R BS 412-9. Ad avviso di chi scrive, posto che il Contratto di Servizio RAI-Ministero dello Sviluppo Economico all’art. 23 c. 4 prevede che debba essere assicurato alla concessionaria pubblica il raggiungimento di una qualità di servizio in FM non inferiore al grado 3 (che corrisponde ad una valutazione della qualità “abbastanza buona” con valutazione delle perturbazioni = “leggermente fastidiosa” ), riferito ai livelli della scala ITU-R di cui alla norma BS.562.3 dovrà essere assunto a parametro di valutazione per la sussistenza o meno di un degrado intollerabile del servizio pubblico tale parametro e non già il rapporto di protezione di cui alla norma ITU-R 412-9 . Poiché il passaggio da un livello qualitativo all’altro è realizzato con una granularità non definita (ma generalmente stimata in ca. 6 dB), dovrebbe discendere da ciò, per logica deduttiva e mero calcolo matematico che il degrado dal livello 5 (excellent) al livello 3 (fair) = due livelli, corrisponde ad un detrimento di 12 dB. Va quindi da sé che il livello di tolleranza fissato dal contratto RAI-Ministero dovrebbe intendersi pari a ca. –12 dB rispetto alla tabella di cui alla raccomandazione UIT-R 412-9. Ad ogni modo, sulla questione la D.G.S.C.E.R. del Ministero dello Sviluppo Economico, si è espressa in data 08/11/2004 in forma inequivocabile. D’altro canto, annotato che l’art. 24 c. 1 del più volte citato accordo tra RAI e Ministero prende atto della presenza di “implicazioni interferenziali” degradanti la pretesa di servizio pubblico del 99% della popolazione, “tollerando” un abbattimento fino all’80% dell’utenza, si osserva che il comma 4 dell’art. 23 del contratto RAI/Ministero viene in aiuto della p.c. RAI offrendo la possibilità di soluzioni alle eventuali problematiche non mortificanti l’operato delle emittenti private, nella misura in cui si statuisce che: “(…) nell’ambito della disponibilità delle frequenze e tenendo conto della specificità della missione del servizio pubblico generale radiotelevisivo, il Ministero assicura alla RAI tutte quelle necessarie per risolvere situazioni interferenziali (…)”. Ciò significa, evidentemente, che, alla presenza di situazioni d’irrisolvibile stato d’incompatibilità r.e. RAI potrebbe agevolmente consolidare la propria presenza nelle aree da essa contestate mediante l’attivazione di microimpianti compensativi, senza dover giungere all’annientamento di attività imprenditoriali private. Sul piano giuridico, l’applicazione della norma ITU-R BS 562-3 non deve avere luogo, come pretenderebbero alcuni, in via d’indulgenza rispetto alla ITU-R BS 412-9, ma in conseguenza a precise prescrizioni della D.G. del Ministero dello Sviluppo Economico che costituiscono un formante giuridico. Trattandosi, tuttavia, di una valutazione per definizione soggettiva, per il compiuto esame secondo le previsioni di cui alla più volte citata norma ITU-R BS 562-3 è necessario adottare alcuni accorgimenti quali l’utilizzo di ricevitori consumer più adatti ad un esame in “condizione utente” rispetto ad analizzatori professionali consigliabili per l’esame strumentale. Detta cautela è avvallata dal parere dirimente espresso dalla D.G.P.G.S.R. in data 05/08/2010, confermativo di precedenti orientamenti tracciati il 02/08/2002 e il 08/10/2009 , dove si ricorda che “la stessa UIT, con la raccomandazione UIT-R BS 562.3, nella valutazione delle problematiche interferenziali, ha individuato 5 gradi di qualità del segnale radio ricevuto facendo utilizzare, come percettore uditivo del segnale irradiato a monte, dei comunissimi ricevitori stereofonici commerciali e non i sofisticati ricevitori professionali di cui sono dotati gli Organi periferici”. L’accertamento soggettivo della qualità del segnale, del resto, non è facoltativo, ma obbligatorio, discendendo dall’obbligo di legge costituito dall’art. 23 c. 4 del Contratto di Servizio RAI/Ministero, che è atto di natura pubblicistica e cogente che impegna la P.A. In detto atto non vi è infatti riferimento alla norma ITU-R BS 412-9, mentre è, per tabulas, richiamata la UIT-R BS 562.3 (tertium non datur). Potrà poi essere presa a riferimento la seguente elaborazione della curva di cui alla norma ITU-R BS 562-3 che traduce in dB i passaggi da un grado di qualità all’altro. Le emittenti private, ad avviso di chi scrive, dovranno quindi invitare gli I.T. a uniformarsi alle prescrizioni di legge in materia ed in particolare, quanto a modalità di accertamento della qualità del servizio RAI, alla circolare della D.G.P.G.S.R. del 05/08/2010 ed all’art. 23 c. 4 del Contratto di Servizio RAI/Ministero, verificando il raggiungimento o meno di una qualità di servizio non inferiore a Q3 ex ITU-R BS. 562.3 e non già il soddisfacimento del rapporto di protezione ex ITU-R BS. 412-9. (M.L. per NL)